Apre l’archivio di Foster Wallace con appunti, volumi e inediti

Parole, appunti, disegni a margine di un libro letto infinite volte, sottolineature improvvise, la foto di Cormach McCarthy pasticciata a pennarello sino a trasformarlo in un vampiro, la prima poesia, scritta da bambino, che si intitola the wiking poem. Tutto quello che resta di David Foster Wallace (1962-2008). Tutto quello che c’era prima e durante la creazione dei romanzi di quello che il New York Times ha definito «un Émile Zola post millennio». L’eterno ragazzo con la bandana, lo scrittore che ha raccontato l’America che si perde nell’oceano infinito e ripetitivo di un presente sempre uguale a se stesso, non c’è più. A settembre di due anni fa ha scelto: sospeso tra l’angoscia della scrittura e la gioia degli psicofarmaci si è trovato una terza via. Il silenzio. Si è impiccato nella casa di Los Angeles.
Ora però l’università del Texas dopo una lunga catalogazione mette finalmente a disposizione di studiosi e appassionati tutti gli scritti di Wallace tranne il testo di The Pale King (il romanzo mai completato uscirà nel 2011 per Little, Brown and Company, l’editore che custodisce gli originali). Abbastanza per mobilitare un bel pezzo del mondo culturale a stelle e strisce che ieri ha organizzato un reading degli inediti all’«Harry Ransom Center» di Austin a cui hanno partecipato anche Elizabeth Crane, Doug Dorst e Jake Silverstein. Ma al di là della parte mondana, davvero questo archivio può rivelarsi uno specchio importante per capire il lavoro dell’autore di Infinite Jest (il libro che secondo molti è l’opera più complessa e intelligente mai scritta sul tema della dipendenza). Le stesure originali mostrano l’enorme mole di lettura e di scrittura che c’è dietro ogni pagina. In Infinite Jest ad esempio il cinema, con i suoi effetti mesmerizzanti, la fa da padrone, e tra i duecento libri di Wallace uno dei più compulsati è proprio The Cinema Book. Tra le copertine tenute assieme con il nastro isolante affiora una rete di rimandi e di sottolineature che racconta tutta la filmografia della famiglia Incandenza (che è al centro del libro). E poi, sottolineatura dopo sottolineatura, dagli altri martoriati volumi esce il complesso rapporto di Wallace con i suoi autori di riferimento: DeLillo, McCarthy, Updike e Borges.

Insomma, se la migliore dote di Wallace era proprio quella di intrecciare piani infiniti sino a perdersi, quest’archivio rivela la sua sottile arte della tessitura. E basta vedere quali parole ha cerchiato nei suoi vocabolari (abulia, fraktur, gravid, mendacious, peccant...) per capire quanto quest’arte fosse difficile e pesante, forse insostenibile.

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