Rieccoli, come si diceva della buonanima di Fanfani. Riecco gli scioperi dei piloti Alitalia, un genere di cui non si sentiva la mancanza perché si sa di che cosa le aquile selvagge sono capaci. È un ricordo lontano ma ancora vivissimo, era il 14 giugno 1995, e per aggirare unastensione dal lavoro che non potevano dichiarare i piloti si misero in malattia. Una misteriosa epidemia, improvvisa e micidiale, ne falcidiò 115, costretti a restare a casa per il mal di testa. La legge infatti gli consente, vista la grande responsabilità, di non presentarsi al lavoro anche quando si sentono semplicemente «non al meglio». È uno dei mille privilegi di cui godono gli uomini-cloche.
Fu il caos nei cieli, perché Alitalia non poté né organizzare voli alternativi né garantire le fasce orarie di rispetto. La compagnia di bandiera denunciò i 115 per interruzione di pubblico servizio, ma la faccenda finì in nulla perché, a differenza dellinfluenza, il mal di testa non si può dimostrare. Pochi mesi prima, nellottobre 1994, il solito virus che alligna negli aeroporti, dagli hangar ai check-in alle cabine, un microrganismo particolarissimo che produce effetti simultanei che svaniscono in 24 ore, aveva colpito l80 per cento del personale Ati.
Rieccoci dunque al vecchio copione, allo spettacolo delle sigle sindacali tanto arroganti quanto minuscole, che nonostante la delicatissima situazione dellAlitalia non esitano a scioperare in difesa dei propri privilegi. In difesa di buste paga da favola, dove un comandante di lungo raggio con 21 anni di anzianità come il presidente dell'Anpac Fabio Berti gode di uno stipendio base di 2.800 euro, unindennità di volo di 7.366 e, proprio in quanto leader sindacale, una maggiore indennità di volo di 7mila euro: meglio fare il capo sindacale che lavorare. E se vola il massimo di ore che gli consentono gli accordi, cioè sei giorni al mese (che si riducono a quattro per il suo vice Stefano De Carlo in quanto comandante di medio raggio), incassa unulteriore indennità di 1.062 euro più una diaria di 252: il totale fa 18.480 euro ma soltanto lo stipendio base è imponibile per intero, il resto gode di una tassazione ridotta. Il comandante insomma può permettersi di esibire un Cud da 115.814 euro mentre il netto in busta paga, che è il guadagno effettivo, potrebbe raggiungere i 14mila.
Aquila selvaggia sciopera per mantenere le indennità, doppiamente ricche perché detassate, che hanno inglobato privilegi del passato, come l«indennità lettino» nata per chi volava sui B767 privi di cuccetta ma estesa a tutti i piloti in grado di comandare quel tipo di apparecchio, o come la cosiddetta «indennità Bin Laden» spettante a chi sorvolava il Medio Oriente.
Si sciopera per mantenere basso il numero delle ore di volo (circa 600 lanno in media), inferiore a quello dei colleghi di compagnie come Air France, Lufthansa, Iberia e Swiss, salvo poi accusare l'azienda: «Sono loro che non vogliono farci lavorare, il contratto prevede un tetto di 900 ore mensili». I piloti scioperano per avere ancora i pulmini-taxi che li vanno a prendere a casa, li portano a Fiumicino e li restituiscono nuovamente al calore domestico dopo latterraggio: fino a qualche giorno fa spiegavano che le auto blu erano necessarie per «evitare lo stress del traffico di Roma», adesso si giustificano con la scarsità di parcheggio in aeroporto. E le aquile selvagge non possono permettersi di perdere tempo a cercare un posto per lauto, gli verrebbe il mal di testa.
Si sciopera per non perdere il diritto di scegliersi gli alberghi migliori, per non essere costretti a traslocare a Milano se la sede di lavoro è Malpensa, per conservare i 45 giorni di ferie e i giorni di riposo che non durano 24 ore come per tutti gli altri mortali, ma «due notti locali consecutive o, in alternativa, un periodo libero da qualunque impegno di durata non inferiore a 33 ore che comprenda almeno una notte locale».
Nel 2007, ricorda Stefano Livadiotti nel libro Laltra casta, mentre Alitalia perdeva 364 milioni di euro in 365 giorni, londata di scioperi abbattutasi sulla compagnia aerea è stata responsabile di mancati introiti per 111 milioni di euro: il 30 per cento delle perdite.
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