Ara Pacis Sui colori studiosi concordi: capolavoro romano

Siamo sulla strada giusta per ridare alla policromia dei monumenti di età ellenistica il ruolo giusto nell’evoluzione dell’arte antica, soprattutto quando legata a monumenti di carattere pubblico. Il caso dell’Ara Pacis, al centro ieri di un convegno di studio promosso dalla Sovrintendenza ai Beni culturali del Comune, è in tal senso un caso paradigmatico. Da un lato ci sono gli ultimi strumenti tecnologici che aiutano a capire la natura stessa della cromia residua dei monumenti, dall’altro gli studiosi si appoggiano alla letteratura coeva e alle proiezioni in 3D per figurarsi la versione originale di monumenti, sbiancati dal tempo dei millenni.
Intanto bisogna «superare Winckelmann» e i pregiudizi sulla presunta assenza del colore nei monumenti e nell’arte plastica di età ellenistica, come suggerisce Simone Foresta dell’università Federico II di Napoli. E questo soprattutto alla scopo di dimostrare - come sostiene Foresta - «l’autonomia dell’arte romana da quella greca». Poi, bisogna porre attenzione alle analisi effettuate sulla superficie del monumento. I cui risultati - come spiega Paolo Liverani dell’università di Firenze - ci portano «a cambiare profondamente le nostre idee nei confronti di un simbolo del neoclassicismo augusteo».

I risultati delle ultime ricerche sul monumento consentono anche di consegnare il giusto rilievo al tema della natura nella rappresentazione botanica (simbolo di nuova prosperità), come sottolineato da Giulia Caneva dell’ateneo Roma Tre.

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