Ariel, il bambino prodigio che suona il jazz da veterano

Ha 10 anni, è di Gerusalemme, studia pianoforte al conservatorio e ha una memoria di ferro

Ariel, il bambino prodigio che  suona il jazz da veterano

da Vicenza

Nella hall dell’albergo un bambino è seduto su una carrozzella per invalidi. Può avere dieci anni, ha occhi vispi e intelligenti sotto i capelli neri cortissimi. Chi gli passa vicino gli rivolge un sorriso e uno sguardo accorato. Ma ecco che il bambino scatta in piedi, fa qualche passo di corsa e poi torna a sedersi. Meno male, era un gioco. A questo punto qualcuno indica il manifesto di Vicenza Jazz 08, in pieno svolgimento, che campeggia vicino all’ingresso. Sul fondo blu sono evidenti il volto del trombettista Enrico Rava, invitato a ricordare il ventennale della morte di Chet Baker, e un bambino che suona il pianoforte.
Allora è lui, non ci sono dubbi. È lui il bambino della favola bella del festival. È successo che il contrabbassista Riccardo Del Frà, curiosando su YouTube, ha scoperto un bimbo che suonava in solo al pianoforte Giant Steps di John Coltrane con la tecnica e la disinvoltura di un adulto e lo ha segnalato al direttore di Vicenza Jazz, Riccardo Brazzale. Detto fatto, Brazzale lo ha scritturato insieme con il contrabbassista Jean-Claude Jones, suo partner e insegnante di jazz.
Il piccolo pianista si chiama Ariel, nome d’arte per la musica in quanto non gradisce che lo si sappia per esteso, viene da Gerusalemme e ha proprio dieci anni. Suona e studia da quando ne aveva cinque e adesso frequenta il conservatorio della sua città, tiene concerti in pubblico di musica classica e di jazz, ha inciso due cd.
Alle prove del pomeriggio, in una delle due sale del nuovo Teatro Comunale di cui Vicenza è finalmente dotata, Ariel affronta divertito i fotografi e gli operatori della televisione. Controlla il pianoforte con un brano di Aaron Copland, un blues di Ornette Coleman e con una sequenza dell’Appassionata di Beethoven. Ha preparazione formale, tocco e diteggiatura straordinari, con quelle mani così piccole.
È accompagnato dai genitori. Ne approfitto per parlare con il padre. Dice: «Nostro figlio è un prodigio. Non dovrei dirlo io, ma è così. Ci siamo accorti della sua disposizione alla musica quando aveva due anni. Con gli insegnanti del conservatorio ha bruciato subito le tappe, poi ha scoperto il jazz. La sua dote più grande è la memoria. Ricorda tutto dopo una lettura a prima vista. Guarda una o due volte una Sonata di Beethoven e poi la esegue senza più preoccuparsi della partitura». Di sera la sala è affollata. Naturalmente c’è Jean-Claude Jones al contrabbasso, ma il protagonista è Ariel: nessuna incertezza, nessun errore. L’attacco è con il blues colemaniano, poi ci sono tre composizioni incredibilmente mature di Ariel. Seguono un tributo a Jones, Mr. J-C., e il fatidico Giant Steps.

Ecco una pregevole reillustrazione di Eleanor Rigby che comincia con un fugato bachiano, e Softly As In A Morning Sunrise, Caravan... Il bis è un omaggio all’Italia con un’originale versione di Vecchio frack di Modugno.
Il festival procede bene. Ma i commenti sono tutti per lui, per Ariel e per il suo fantastico avvenire.

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