«Con Armstrong non siamo rivali: lui parla, io vinco»

Pisa A vederli qui, nel piazzale del My One Hotel di Pisa, sembrano una squadra di amatori. Le maglie ufficiali non ci sono ancora, i mezzi sono d'emergenza, le biciclette pure. Lance Armstrong gli ha portato via mezza squadra, le ammiraglie, il motor-home, ma non il sorriso e la consapevolezza di poter rivincere il Tour de France. «Lance ha fatto il suo gioco, io sono pronto a fare il mio, come sempre. Preoccupato? Neanche un po'», dice Alberto Contador, 27 anni, il ciclista più forte e pagato del mondo (3,5 milioni di euro premi esclusi), incontrato ieri a Pisa dove sta sostenendo con la sua Astana il primo raduno stagionale con visite mediche e test all'Università di Pisa.
Lo spagnolo di Pinto non si è ancora liberato definitivamente della figura ingombrante di Lance Armstrong. I contratti lo obbligano a vestire ancora per qualche giorno la maglia con il baffo di un noto marchio d'abbigliamento, quello di una bicicletta americana che sarà sostituito da un altro marchio a stelle strisce e dalla scritta gialla «Livestrong» sulla spalla sinistra, la fondazione voluta e creata dal campione di Austin. Lui, Alberto Contador, t-short blu notte, è sorridente e pacato come sempre. «Perché dovrebbe pensare all'americano? Al Tour Armstrong ha recitato la parte del fenomeno, Alberto lo è stato per davvero», dice compiaciuto Giuseppe Martinelli, tecnico di Pantani, Garzelli, Simoni e Cunego, da qualche settimana alla guida della formazione kazaka.
Alberto Contador, come il texano, è un sopravvissuto alla vita. Un aneurisma lo mette ko al Giro delle Asturie: è il 2004. Il male è provocato da una massa tumorale benigna che preme sul cervello. Sulla calotta cranica il ragazzo di Pinto ha una lunga cicatrice, 70 punti di sutura. È stato tre settimane in coma, per nove mesi ha sperato di poter un giorno tornare a correre in bicicletta, quando i medici gli dicevano di lasciar perdere. Lui non solo non ha lasciato perdere, ma è tornato a vincere. Suo fratello, Raul, minore di lui, è da anni su una sedia a rotelle, per un aneurisma più grave. Famiglia operaia: padre carpentiere, Contador è l'emblema dello spagnolo medio. Ragazzo solare, semplice, gentile, disponibile con tutti: l'esatto contrario di Lance Armstrong. Oggi è così. Domani chissà. Il ragazzo di Pinto, città-dormitorio dove è nato e cresciuto, 20 chilometri a sud di Madrid, ha vinto questa estate sulle strade di Francia la concorrenza più forte: quella ordita dall'Astana di Armstrong-Bruyneel e compagnia pedalante. Non era un separato in casa, ma un sopportato in casa propria. Mentre il texano si spostava con elicotteri privati e stuolo di scorta e giornalisti, lui saltellava sui pedali per conquistare il Tour. Negli ultimi due anni Alberto ha partecipato a quattro gare a tappe - nell'ordine Tour 2007, Giro e Vuelta 2008, Tour 2009 -: le ha vinte tutte. «Non sono abituato a giudicare gli altri, ma solo quello che faccio io. Non amo guardare indietro, ma solo avanti e davanti a me vedo solo una stagione con un Tour che va vinto».
Al suo fianco avrà Beppe Martinelli, il tecnico che portò Pantani a vincere nel '98 Giro e Tour.
«È una grande persona e con lui è nato subito un bellissimo feeling. Mi piace come si porge, come parla, come sta organizzando la squadra. Mi piace anche sapere che ha vinto quattro Giri d'Italia con quattro corridori diversi (Pantani, Garzelli, Simoni e Cunego, ndr): significa che ha strategia, intelligenza tattica oltre ad una buona dose di fortuna, che in certi casi non guasta».
Sì, però nel suo programma non c'è ombra di Giro.
«Non c'è spazio per la corsa rosa, che io per altro porto nel cuore. Non avendo la struttura per poter puntare a due Grandi Giri, per quest'anno dobbiamo concentrarci solo sul Tour de France».
Armstrong sarà il primo avversario?
«Lui probabilmente lo pensa, io ritengo che di avversari ne avrò molti di più: Andy Schleck, Leipheimer, Kloeden, Evans, Basso e tra questi anche Lance».
Delle cose che ha detto sul suo conto Armstrong c'è qualcosa che le ha dato maggiormente fastidio?
«Durante il Tour ho pensato a vincere la corsa, dopo il Tour ho pensato a godermi la vittoria, adesso penso a preparare una nuova sfida. Siamo diversi: lui parla e io penso. Lui grida e io sussurro».
È vero che lei vorrebbe con sé il prossimo anno Ivan Basso?
«È verissimo. Ivan è un grande corridore, uno dei più forti del mondo e poi siamo grandi amici, lo apprezzo come persona. Se tra un anno riuscirò ad averlo con me, sarò un uomo felice».
Sa che Ivan è molto amico anche di Lance Armstrong?
«Lance la pensa come me: Ivan è un grande corridore».


Lei era vincolato da un contratto che lo legava ancora per un anno all'Astana, così ha dovuto rinunciare ad un ingaggio di 10 milioni di euro: in certi momenti le pesa essere un ciclista e non un calciatore?
«Io come ciclista non posso lamentarmi, sono il più fortunato, ma il problema è che al momento il ciclismo non è il calcio perché non dispone della stessa forza economica. Per me quasi quattro milioni di euro sono tanti, per Cristiano Ronaldo, probabilmente no. Come vede, è solo una questione di punti di vista».

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