Da oggi anche il maggiore sindacato italiano, la Cgil, sarà guidato da una donna, come Confindustria. Emma Marcegaglia sarà fronteggiata da Susanna Camusso, i cui occhi di ghiaccio colpiscono più delle facce di Bonanni e Angeletti. Gli appassionati di sistemi elettorali godono per il percorso labirintico attraverso il quale la sindacalista-velista approda al timone della confederazione: un rompicapo più contorto del vituperato «porcellum».
Sarebbe stato troppo facile nominarla in maggio al congresso che invece ha riconfermato un Guglielmo Epifani agli sgoccioli degli improrogabili otto anni di mandato. Così a settembre il direttivo Cgil ha eletto cinque «saggi» che il 20 e 21 ottobre hanno interpellato uno per uno i 162 membri del direttivo medesimo i quali oggi, ascoltata la relazione riassuntiva, eleggeranno il nuovo leader a voto segreto (obbligatorio in Cgil). E la complicata liturgia di consultazioni ratifica una nomina tutt’altro che segreta, perché la Camusso è stata designata da Epifani e dalla segreteria nazionale mesi fa.
Susanna Camusso sale al vertice della Cgil con la fama di riformista. È un’ex socialista lombardiana (la corrente del Psi che contrastava Bettino Craxi), laica nel Dna («Fassino, Bertinotti e altri hanno svelato un lato spiritual-cattolico ma io non verrò mai folgorata sulla via di Damasco»), femminista tiepida da giovane e appassionata negli ultimi anni, una che non le manda a dire al Pdl ma nemmeno al Pd: Walter Veltroni si ricorda ancora le rampogne che la «lady di ferro» gli rivolse quando si sostituì al sindacato nella trattativa Alitalia. Viene dalla Fiom, dalla quale fu allontanata nel 1997 da Claudio Sabattini perché «troppo moderata».
Ma la nuova zarina Cgil non è un personaggio morbido e accomodante. Ha un solo argomento: la crisi. Una sola controparte: non i «padroni» di Confindustria ma il governo, in particolare il ministro Sacconi. Al titolare del Welfare ha rinfacciato il «Libro bianco» come «un lavoro di carità sociale»; l’ha rimbrottato quando parlò di «complicità tra impresa e lavoratore» e soltanto pochi giorni fa, commentando i dati sull’occupazione, l'ha invitato a «smetterla di raccontare che le cose vanno meglio, così si ingannano le persone». I suoi programmi coincidono singolarmente con le recenti enunciazioni di Gianfranco Fini: tassare le rendite finanziarie al 20-25 per cento «invece di favorire gli evasori con lo scudo fiscale», e «riportare il Sud al centro delle priorità evitando di spaccare l'Italia».
La Camusso entrò a vent’anni nella Fiom senza aver lavorato un solo giorno come operaia. Da ragazza fece lavoretti come interviste telefoniche per ricerche di mercato e appena maggiorenne lasciò la casa paterna con un diploma preso in un liceo scientifico privato. Studiò archeologia ma preferì il sindacato, folgorata dai corsi delle 150 ore: «Spinta dalla conoscenza della condizione delle persone, oltre che dal clima del periodo, cominciai a combattere privilegi e ingiustizie». Era il 1975. Militanza nel Movimento studentesco, coppola blu in testa, sigaretta tra le dita, Susanna passò dai banchi dell’Università Statale di Milano ai picchetti davanti a Mirafiori. Fu la prima donna nella Fiom responsabile del settore auto e della siderurgia. In un’assemblea sindacale trovò anche marito, un giornalista di un’agenzia di stampa che conosceva dai tempi del liceo. La loro figlia, Alice, ha 22 anni e studia alla Normale di Pisa. Insofferente ai legami con la famiglia di origine, Susanna Camusso ha però mantenuto i gusti e le abitudini borghesi in cui fu allevata. Allergica alla tuta blu (ma si lamenta che «la società dell'informazione ha indotto molti giovani a considerare il lavoro in fabbrica squalificante»), il suo lavoro è stato percorrere la carriera sindacale, ultimo stipendio 2700 euro netti al mese. Ha preso la patente nautica prima di quella automobilistica, va in barca a vela più e meglio di Massimo D'Alema, passa le vacanze in un circolo velico della Bretagna e i viaggi più belli sono stati in Madagascar e Caraibi.
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