Arriva il film hard di Ang Lee che ha scandalizzato la Cina

Valeria Solarino: «Io avrei qualche imbarazzo, ma se ti fidi del regista diventa più facile. Con le scene gratuite è dura»

da Hong Kong

A Venezia - dove ha vinto l’ultima Mostra con Lust, Caution - Ang Lee mi diceva: «Più che ad amore e sesso, il titolo allude a vita ed arte. Lo espliciterei così: “Voglia di vivere? Prudenti in società”».
Il concetto doveva esser caro al regista taiwanese, figlio di esuli nazionalisti sconfitti nella guerra civile, se lo ha ripreso nella cartella stampa diffusa dal distributore italiano (Bim). Eppure dopodomani il film uscirà come Lussuria. Seduzione e tradimento. Ancora una volta, dunque, in Italia dieci minuti di sesso - con un attimo hard - prevalgono come motivo di richiamo sui centocinquanta minuti complessivi di Lussuria, vasto e verosimile affresco della resistenza cinese all’occupazione giapponese fra 1938 e 1942, con Hong Kong e Shanghai come sfondo.
Certo, nel film di Ang Lee c’è anche seduzione: a opera di una studentessa (Tang Wei) patriota. Certo, c’è anche tradimento: a opera del ministro cinese (Tony Leung) d’un governo insediato dai giapponesi. Ma soprattutto i due, da antagonisti, diventano innamorati. Fra loro perciò divampa la passione, che ha una radice affettiva, non la lussuria, che ha una radice biologica. Ma, rispetto alla prospettiva dell’incasso, si sa, il rispetto del lessico cede.
Paese che vai, arbitrio che trovi. Produzione di Taiwan girata in Malesia e Cina, Lussuria non è stato candidato da Taiwan all’Oscar per il film non americano! Eppure proprio Ang Lee ha vinto l’Oscar per il miglior film, con I segreti di Brokeback Mountain, preventivamente premiato nel 2005 - proprio come Lussuria nel 2007 - col Leone d’oro a Venezia.
Peggio: a Hong Kong, per il suo statuto speciale nell’ambito della Cina, Lussuria è uscito in versione integrale: a Shanghai e nel resto della Repubblica popolare cinese il film è uscito, sì, ma senza sesso, hard o no. In Cina infatti non ci sono divieti ai minori: i film sono per tutti o per nessuno. Così ora, fra i moventi dei cinesi dell’interno per recarsi a Hong Kong, c’è anche vedere le scene altrove proibite. E davanti alle sale di Hong Kong, generalmente inospitali per la produzione cinese, Lust, Caution - qui il titolo è rimasto invariato - ci sono lunghe file.
Nella vicenda di Lussuria, il sesso - vero o simulato - fra i due interpreti assume però anche valenza politica ed è questo secondo ostacolo a rendere, per ora, insuperabile il primo. Dice Ang Lee: «La parte censurata è parsa inaccettabile perché rafforzava il concetto di simpatia fra ragazza patriota e collaborazionista».
Da questo punto di vista, è già stupefacente - per chi ignora la rapida evoluzione della Cina e vi applica schemi e tabù occidentali - che Lussuria abbia potuto esser girato (in buona parte) in Cina e vi possa (per la maggior parte) esser visto. Immaginate le reazioni se si girasse in Italia un film dove la studentessa partigiana, anziché uccidere - per esempio - il Pavolini della Repubblica sociale, non gli negasse proprio nulla?
Quanto a moralismo, i comun-capitalisti cinesi sono ormai meno codini dei critici post-sessantottardi europei, quelli che alla Mostra hanno stroncato la versione che ancora s’intitolava Lust, Caution. Il sesso, che due anni prima pareva liberatorio di Brokeback Mountain, ora li disturbava, anche perché privo delle attenuanti psicanalitiche di cui si sono avvolti sapientemente altri sulfurei film da festival, come Il portiere di notte e Interno berlinese di Liliana Cavani! Quel che preoccupa per patriottismo certi censori pechinesi, preoccupa per moralismo certi critici milanesi (o romani).

Lo schema che prevede la polarizzazione fra «buoni» e «cattivi» politici e soprattutto il dislivello morale fra loro è ormai uno stanco retaggio retorico: prima di Lussuria, altri film da festival - di varia origine e valore, come Malèna, Senso '45, Black Book... - ne hanno fatto strame. E in Cina L'imperatore e l'assassino di Chen Kaige e Hero di Zhang Yimou hanno ristabilito l’equità: basta buoni e cattivi, largo a forti e deboli. Così va il mondo.

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