Politica

Arriva un microchip contro la privacy di Fido

In Italia, da diversi anni, dovrebbe funzionare quella che è nota come «anagrafe canina». Il condizionale è d’obbligo perché, al solito, la realtà è che siamo un paese di molte parole e pochi fatti, di molte brillanti idee ma di scarsa applicazione delle stesse. Talvolta neanche il bastone è sufficiente per ridurre alla ragione chi non vuole stare alle regole.
È il caso appunto dell’anagrafe canina, magnifica idea abortita nel girone delle applicazioni mancate. Spieghiamo. Diversi anni fa, in seguito a un aumento delle lamentele per l’annosa e vergognosa piaga del randagismo si decise che rendere obbligatoria la rintracciabilità del cane avrebbe assestato un colpo definitivo a questo vero e proprio scandalo che non trova eguali nei paesi civili.
Divenne allora obbligatorio il cosiddetto «tatuaggio», un numero impresso, con una particolare pinza all’interno del padiglione auricolare, riportato poi in un registro anagrafico comunale, in modo da poter rintracciare il proprietario in caso di smarrimento del quadrupede o di sua dismissione presso lo svincolo dell’A1 verso Rimini e Riccione. Quando i paesi più progrediti (e anche meno) già mettevano il microchip (che nei cavalli si mette da lustri), noi eravamo ancora alle prese con pinze, numeri metallici, inchiostro poco indelebile e soprattutto col fatto che il tatuaggio faceva un male boia, per cui occorreva la sedazione o l’anestesia.I proprietari, giustamente spaventati che Fido ci rimettesse le penne, si rifiutavano di farlo tatuare. I veterinari, anche loro non poco innervositi per dover mettere in anestesia un chihuahua di mezzo chilo con tutti i conseguenti rischi, indulgevano spesso verso certificazioni che esentavano il paziente. Le sospette allergie agli anestetici e i mal di cuore si sprecavano. Inoltre, il tatuaggio con inchiostro, alla lunga non si leggeva più oppure chi rubava un cane di pregio faceva come per le pistole: abrasione con un temperino della matricola. Insomma fu un immediato fallimento.
L’introduzione del microchip, una piccolissima piastrina inserita nel collo con una siringa, ha migliorato decisamente le cose, in quanto non occorre anestesia, è eterno e il numero si può leggere a distanza di una spanna, con apposito lettore, senza rischiare una mano. Nonostante questo, se in molte regioni del centro nord il successo è stato parziale, nel mezzogiorno e nelle isole, la maggior parte dei proprietari e degli amministratori se ne strafrega dell’anagrafe canina e infatti ne vediamo le conseguenze sull’onnipresente fenomeno del randagismo. Si aggiunga che non esistono banche dati che vadano al di là della provincia, per cui se io perdo il cane a Prato fanno in tempo a mangiarmelo i cinesi prima che risalgano a me.In Gran Bretagna intanto laburisti e tories hanno concordato di inserire in tutti i cani un microchip contenente un codice a barre in cui compariranno il nome del cane, la razza, l’età e i dettagli salienti dello stato di salute, assieme al nome del proprietario e al suo numero di telefono. I dati del microchip confluiranno in una banca dati nazionale che permetterà di ottenerli in ogni angolo del paese. Questo al fine di prevenire i furti, gli abbandoni e gli incidenti stradali dovuti a cani liberi.
Sono certo che da noi un piano simile susciterebbe un casino cosmico. Avete idea dei problemi di privacy del cane, del proprietario ecc.

? Ci vorrebbero di sicuro un paio di authority.

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