Arriva la telefonata di Gianni Letta e in casa Cantoni scoppia la gioia

Poi la chiamata della figlia: «E voi come state?» Ieri era tornato da New York il fratello. I genitori partiti per Roma dove oggi accolgono la giovane

Enrico Lagattolla

da Milano

«E voi come state?». Ironica e paradossale, la voce arriva da Kabul. Al cellulare, Fabio Cantoni ascolta. A parlare è sua figlia, Clementina. Libera.
Milano, civico 4 di via Jan, secondo piano. Fine di un incubo. Sono passate da poco le sette di sera quando a casa Cantoni arriva la telefonata del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. È lui il primo a dare la notizia ai familiari. Il tempo di capire, le lacrime di mamma Germana. Poi il ponte telefonico che interrompe un silenzio lungo quasi un mese.
Movimenti frenetici alla finestra, dal balcone si affaccia Davide, il fratello di Clementina, arrivato ieri da New York. La più fortunata delle coincidenze, e comunque «ora vi porto mio padre». Qualche minuto ancora, e Fabio Cantoni si concede alla folla di giornalisti e fotografi che intasano la strada. Cellulare bollente, viso emozionato, poche parole: «Mia figlia vi saluta». Linea diretta con l’Afghanistan.
Pochi minuti, e la notizia fa il giro di amici e parenti. Il primo ad arrivare è «Ciaccio», al secolo Vitaliano De Rossi, cugino della ragazza. «Siamo emozionati, è un momento bellissimo, adesso lasciatemi andare». Supera il muro di carabinieri che presidia il portone di via Jan, si infila nel corridoio, sale al secondo piano.
Alla spicciolata arrivano in molti. Qualcuno con la classica bottiglia da stappare nelle occasioni che contano e solo quelle. Nessuno sa nulla, i dettagli sono solo dettagli, e «chisseneimporta» di riscatti-diplomazia-intelligence. Vox populi della strada, dei davanzali di via Jan, dei negozi. «L’hanno liberata». Felici anche perché «è un’operatrice umanitaria, e ha reso onore al nostro Paese». Contentezza e sollievo, punto e basta. Nonostante quella fosse «una famiglia molto riservata», e nonostante «vivesse poco il quartiere».
Alle 19.40 il capitano dei Carabinieri Michele Cuculielli, anche lui da quasi un mese sotto casa Cantoni, dà l’annuncio che «ancora pochi minuti, poi il padre rilascerà una dichiarazione», e lo stesso ripete Marco Formigoni, amico e portavoce della famiglia.
E alla fine il padre arriva, alle sue spalle il cartello affisso al portone quasi un mese fa «Clementina ti aspettiamo», occhi ancora lucidi e voce rotta. È giusto un attimo, si ricompone nella ridda di taccuini e telecamere. Il primo è «un pensiero per tutti quelli che sono ancora nella stessa condizione di Clementina».
E poi le parole che sono la «sua» liberazione. «È andato tutto per il meglio, ho parlato con mia figlia e mi ha detto che sta bene». Quasi d’un fiato, ringrazia tutti, «il sottosegretario Letta, i carabinieri, l’unità coronarica che è stata vicina a mia moglie, la discrezione dei giornalisti, ringrazio Care international e la Farnesina, gli amici straordinari, la gente sconosciuta che ci ha dato un grande supporto».
Di più non sa dire. Dei particolari sulla liberazione di Clementina non ha voglia di parlare. «Per la verità non so ancora nulla, ma sono dettagli che per ora non mi interessano». Quel che resta, adesso, è solo la «speranza di vederla al più presto».
Ai cronisti, Fabio chiede soltanto una cosa. «Un favore», lo chiama. «Fatemi fare un giretto per strada con mia moglie e mio figlio, lasciateci un momento tranquilli». Poi entra in casa, il cellulare che squilla in continuazione e lui che risponde a tutti. Giovedì di festa.
Dieci minuti dopo le otto. Germana, la madre, esce sul balcone. Fino a un attimo prima ha pianto. Adesso si sbraccia e saluta e ringrazia tutti e chissà chi tra quelli che stanno in strada, che sono gli stessi giornalisti che l’hanno assediata per quasi un mese. Ma questo è un altro giorno, il giorno tanto atteso e allora «grazie a tutti».
Le 22.10, buio in via Jan.

Fabio, Germana e Davide escono rapidi di casa e salgono al volo sul taxi. Con loro, una valigia. Destinazione Roma, dove Clementina arriva oggi. Il cartello messo sul portone quasi un mese fa ha tutto un altro sapore. «Clementina ti aspettiamo». Adesso è questione di ore.

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