Ecco il Colapesce fotografo, scatti della memoria

Nella mostra di una galleria milanese il volto segreto del cantautore siciliano: identità e solitudine negli alberghi delle tournèe

Ecco il Colapesce fotografo, scatti della memoria
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Tutti gli uomini sono artisti, diceva un certo Joseph Beuys; nel caso in questione, però, varrebbe la più prosaica riflessione del grande Dino Buzzati che rifiutava categoricamente le etichette, quella di pittore oppure di scrittore-giornalista, perché “le storie si posso raccontare in tanti modi”. Ne è un esempio fulgido Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, cantautore siciliano stimato per la sua libertà creativa, qualità che gli valse nel 2012 la Targa Tenco per la miglior opera prima con il suo album d’esordio “Un meraviglioso declino”. Ebbene, ora lo abbiamo conosciuto anche come artista visivo, alla presentazione della sua mostra fotografica intitolata “Doppia uso singola”, espressione familiare all’immaginario collettivo nell’era dell’over- tourism. Di fatto, Colapesce ha esposto il frutto di una consuetudine che appartiene a molti: quella di catalogare, come si faceva all’epoca dei diari, la propria quotidianità utilizzando uno strumento ormai irrinunciabile, lo smartphone. Quello che però differenzia l’artista dall’uomo comune è lo sguardo, oltre che la poesia, e ovviamente il metodo paziente di archiviare seguendo un fil rouge.

Nella fattispecie, il filo rosso sono le stanze degli alberghi, degli appartamenti e dei B&b da lui frequentati durante gli anni della sua carriera. Questi scatti, tutti nel medesimo formato 20X20, allestiscono la bella mostra alla galleria Patricia Armocida in via Argelati. Colapesce introduce lo spettatore in un viaggio nella memoria, nella solitudine e nell’identità, anche quella degli oggetti che ci accompagnano nella quotidianità lontano da casa; un asciugacapelli, una saponetta, la bottiglietta dell’acqua, un cuscino sgualcito, un letto sfatto sempre soltanto da un lato (il destro o il sinistro?). Fin qui la memoria collettiva. Sono sempre gli oggetti, le “cose” a fare da trait d’union per il secondo viaggio in cui l’artista ci conduce al piano sottostante della galleria, stavolta nella memoria familiare e identitaria: “Teresa e Anna” sono la nonna e la prozia di Colapesce, sorelle unite dalla storia, dalle tradizioni e dai luoghi, due abitazioni dirimpettaie.

Il formato delle foto è sempre lo stesso, 20x20, ma stavolta i contenuti sono più affettivi e indagano il concetto del doppio, dei “neuroni-specchio”, direbbero gli scienziati. Le due donne, inconsapevolmente legate a doppio filo da abitudini e da una cultura che ormai appartiene al passato anche di ognuno di noi, si identificano nelle stesse cose, diverse solo per sfumature: un soprammobile da souvenir, uno scialle di lana, un “salotto marron” direbbe Paolo Conte disposto allo stesso modo e nello stesso ordine.

Il viaggio nella memoria stavolta è più romantico, meno asettico e meno virtuale, ma il principio è in fondo il medesimo: restituire alle cose il loro profondo valore identitario, tasselli di un puzzle che sono la storia della nostra vita, oggi dimenticate da in una triste civiltà di “non-cose” (come direbbe il sociologo coreano Yan Chu Lan) che ha trasferito memoria e intelligenza in un immenso “cloud”, che forse prima o poi ci franerà addosso.

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