La nuova edizione della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, «mecca» italiana per i collezionisti d’arte antica e moderna, è alle porte; dal 28 settembre, per una settimana, a palazzo Corsini, 80 tra le più accreditate gallerie italiane e straniere proporranno al pubblico simulacri di artistica bellezza tra dipinti, arredi, sculture e oggetti rari. Anche stavolta, nei vellutati stand di questa vera e propria wunderkammer, saranno esposte chicche inedite, come la trecentesca Testa del Vescovo Andrea de’ Mozzi del 1300 della bottega di Arnolfo di Cambio, una Madonna col Bambino del Bronzino (1525-1526), una Madonna con il Bambino e Santa Maria Maddalena di Tiziano, un raro Paesaggio Notturno di Jan Brueghel I.
Segretario generale della prestigiosa manifestazione che attira collezionisti da tutto il mondo è Fabrizio Moretti, mercante d’arte specializzato in dipinti italiani del Trecento. Starà a lui testare la salute del mercato dell’arte antica nell’era delle mostre virtuali, dei quadri digitali e dell’intelligenza artificiale sempre più invasiva anche nell’arte. «La salute è stabile – dice - anche perché la cultura digitale viaggia in un mondo parallelo rispetto a quello dell’arte antica, in cui la visione e il contatto con la materia sono fattori unici e imprescindibili che nessuna immagine riportata può soddisfare. Nel nostro mondo, lo dico sempre, non si può prescindere da quello che io chiamo “l’amore per il tarlo”...».
Eppure, dal lockdown in poi, il mercato online dell’arte ha avuto un’impennata anche nell’antiquariato, sorprendendo gli stessi galleristi. Qualcosa è cambiato anche per voi?
«Il mercato online esisteva anche prima, è decollato nell’era del covid ed esiste tuttora; ma ritengo sia destinato al mercato di beni minori. Faccio un esempio: il record appena registrato da Christie’s di Londra per un capolavoro di Tiziano (Riposo durante la fuga in Egitto, ndr) non avrebbe mai potuto verificarsi online, tantomeno nel metaverso. I quadri antichi vanno guardati da vicino, possibilmente con la lente. Una questione diversa è se parliamo di memorabilia: una maglietta originale di Michael Jordan si può comprare anche a un’asta in Rete...».
Lei è stato nel board di Tefaf di Maastricht, la più importante fiera d’arte antica al mondo. Partita con l’arte fiamminga, si è estesa negli anni a tutti i generi dell’arte europea, e poi al moderno, al design e perfino al contemporaneo. Una strategia per allargare il pubblico che state applicando anche a Firenze, mi pare...
«È vero, ma esiste una logica che prescinde dal mercato in senso stretto e che seguo fin dal mio insediamento, fissando agli anni Duemila il limite cronologico per le opere in esposizione. La storicizzazione delle opere, del resto, viaggia veloce e persino una scultura di Damien Hirst degli anni Novanta può essere configurabile come moderno-contemporanea; una natura morta di Giorgio Morandi è invece oggi a tutti gli effetti un old master».
Firenze, come tante città turistiche italiane, sta sempre più diventando una giostra. Ovviamente nell’antico i pezzi sono limitati ma ci sono sempre famiglie che vendono e altre che acquistano per turisti mordi e fuggi. È sempre più difficile difendere e diffondere la storia della bellezza?
«Esiste un problema di tutela del patrimonio dal turismo blockbuster, ma ritengo che anche le modalità di fruizione dell’arte andrebbero svecchiate; è positivo che la gente faccia ancora le file per gli Uffizi (e non solo per i ristoranti) ma sarebbe ora che l’accesso ai musei italiani diventasse gratuito come nei Paesi anglosassoni, perché la bellezza è un diritto di tutti. Detto questo, la Biennale di Firenze attira un pubblico internazionale che non sfrutta la città ma investe nella città».
Il mercato degli old masters, rispetto al contemporaneo, ha limiti imprescindibili nell’esaurimento di capolavori...
«È un aspetto che riguarda anche il settore del moderno perché è impensabile che sul mercato esistano infiniti capolavori di Picasso. Ma il mercato è grande e da che mondo è mondo si autoalimenta tra compratori e venditori. Ci saranno sempre famiglie che acquistano, ma anche famiglie che decidono di dismettere le proprie collezioni...».
L’arte antica presuppone una cultura più alta rispetto al contemporaneo. Le nuove generazioni di collezionisti come rispondono?
«Oggi, purtroppo, vedo un livello culturale basso e molti collezionisti di contemporaneo acquistano opere di artisti famosi solo per status, come se comprassero un’auto di lusso o un abito griffato. La realtà è che senza conoscere l’arte antica è impossibile capire anche il contemporaneo ma, fortunatamente, anche tra i giovani iniziano a formarsi collezioni miste. Cerco di essere fiducioso...».
Da sempre gli antiquari lamentano un regime fiscale e legislativo che penalizza il mercato italiano e le esportazioni, causando anche la migrazione all’estero di antiquari italiani. Sta cambiando qualcosa?
«Direi di sì, da qualche tempo è cominciato un dialogo tra mercato e istituzioni per rendere più semplici le procedure di esportazione. Tuttavia le gallerie italiane continueranno ad aprire sedi all’estero non solo per ragioni fiscali ma perché a Londra o New York esiste un mercato molto più vivace e internazionale, dove i mercanti fanno affari con i più importanti musei del mondo. In Italia, purtroppo, siamo molto indietro».
Uno stimato antiquario milanese è stato sotto processo (e poi assolto) per la compravendita di un «doccione alato» appartenente al Duomo di Milano.
Questi “equivoci” sono frequenti nel mercato dell’antico?
«Il mercante coinvolto è un integerrimo professionista e sono felice che il caso si sia risolto. I rischi in questo mondo esistono, ma quando si acquista un'opera in buona fede, la giustizia alla fine ti dà ragione».
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