Fra reportage e ritratti la tragedia del Vajont

Più di 100 opere in bianco e nero di Elio Ciol, il grande maestro friulano amico di Pasolini

Fra reportage e ritratti la tragedia del Vajont
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Difficile trovare le parole giuste davanti agli scatti di Elio Ciol, 96 anni, la macchina fotografica al collo da quando è ragazzino e un paese natale, Casarza della Delizia, in provincia di Pordenone, che dischiude paesaggi e volti unici.

Da casa Ciol si è mosso parecchio, documentando l'Italia e l'Europa, ma lì ha continuato a tornare e dal suo studio, grazie alla cura attenta del figlio Stefano (anche lui fotografo), arrivano ora le fotografie della sua prima grande mostra in un museo milanese. È al Museo Diocesano, s'intitola Sguardi e silenzi e presenta fino al 15 febbraio un centinaio di immagini in bianco e nero. È solo un assaggio, ché la produzione di Ciol è sconfinata e variegata, ma sufficiente a dirci che siamo davanti a uno dei grandi maestri italiani: si comincia con lo scatto «Fratelli» e un messaggio dello stesso Ciol che, citando il libro del Qoelet («Per ogni cosa c'è il suo momento, / il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo») augura a noi che osserviamo «pensieri ed emozioni positive». Di emozioni ne arrivano in abbondanza osservando le sue foto che affondano le radici nell'entroterra friulano e che da lì, così come in altri contesti, cercano «ciò che è difficile dire a parole». La citazione è di Michele Smargiassi, che firma anche il bel catalogo della mostra edito da Dario Cimorelli Editore: Elio Ciol, continua Smargiassi, «è un cercatore di segni: ha il sospetto che la realtà voglia dirci dell'altro».

La sua fotografia apre a immagini che alludono (spesso a un Altrove) e non è ascrivibile a una singola scuola. Il suo linguaggio aderente alle cose (la Stazione Centrale di Milano ritratta agli inizi del boom economico, i bambini della Bassa che giocano nei campi) non è neorealista: a Ciol l'indagine sociale non importa, importa l'uomo e il creato che indaga con sguardo pieno di stupore. Lo vediamo nei rami coperti di neve (è lo scatto che chiude magistralmente il percorso), nel silenzio evocato dal piazzale davanti alla Grotta di Lourdes, nella solitudine di certi alberi in campagna.

«Fotografo francescano», Ciol declina una mistica per immagini ben calata nel reale ed è anche un vero testimone spirituale del Novecento, come la mostra evidenzia ricordando la sua profonda amicizia con Pier Paolo Pasolini, che a Casarza veniva in vacanza. Intenso anche il rapporto con il pittore William Congdon, che viveva vicino a Buccinasco, e quello con padre David Maria Turoldo, di cui Ciol era stato fotografo di scena nel film «Gli Ultimi».

Esposti anche gli scatti ispirati da don Luigi Giussani e dai suoi ragazzi, che il fotografo conosce durante il suo soggiorno milanese. La sezione dedicata alla tragedia del Vajont che lacerò per sempre l'anima di Elio Ciol ci racconta di un modo tutto suo di realizzare reportage di cronaca: nelle foto emerge un dolore composto, mai esibito.

Ogni scatto di Elio Ciol e quelli dedicati agli anziani in modo particolare ci parla della sua attesa paziente e fiduciosa che qualcosa, davanti agli occhi, prima o poi appaia. Una lezione che vale per ogni fotografo e anche per ogni essere umano.

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