Asilo politico all'imam in carcere per terrorismo

Sconta una condanna a tre anni e 8 mesi: trasformò la moschea di viale Jenner, a Milano, in un luogo di reclutamento per fondamentalisti. Ricercato pure in Egitto è ricercato. Ma per i giudici italiani è un perseguitato

Asilo politico all'imam 
in carcere per terrorismo

Milano - Per lo Stato italiano Abu Imad è un terrorista, un predicatore della jihad contro l'Occidente, un reclutatore di combattenti e di attentatori suicidi, un pericolo pubblico tale da venire rinchiuso in un carcere speciale. Ma per lo Stato italiano è anche un dissidente inseguito da uno Stato totalitario per motivi religiosi, un innocuo immigrato che merita di ricevere dall’Italia lo status inviolabile di rifugiato politico. Come le due versioni possano convivere, come la stessa persona condannata come terrorista possa ricevere asilo politico, è uno di quei misteri tutti italiani dove non si capisce come si incrocino pasticcio burocratico, ottusità amministrativa, garantismo spensierato.

Al centro del pasticcio, lui: Arman Ahmed El Hissini Helmy alias Abu Imad, imam della moschea milanese di viale Jenner fino a pochi mesi fa, quando finisce in carcere a espiare una pena di tre anni e otto mesi per terrorismo. La sentenza dice che sotto la guida di Abu Imad (che aveva preso il posto di un suo collega andato a combattere e a morire in Bosnia) la moschea milanese è divenuta centro di raccolta per i fanatici dell'Islam radicale, che qui si sono organizzate raccolte di fondi e di uomini per i campi d'addestramento e le missioni suicide. Dal suo ufficio al primo piano di viale Jenner, il barbuto e ieratico Abu Imad controllava tutto. Solo negli ultimi anni, riconosce la sentenza, le sue posizioni si erano - almeno in apparenza - fatte più morbide, più inclini al dialogo.

Ma per lo Stato italiano Abu Imad è un pericolo ancora oggi: lo dice il provvedimento del Dap, la direzione delle carceri, che lo ha spostato da San Vittore alla prigione di alta sicurezza di Benevento, uno dei due istituti (l'altro è a Macomer) abilitati alla custodia dei terroristi. Lì, Abu Imad, dovrà restare fino alla fine della sua pena. E dopo?

Ed è qui che salta fuori la inverosimile novità. Abu Imad non verrà espulso - e questo già si sapeva - perché la sua condanna non prevede questa pena aggiuntiva, proprio in considerazione del suo recente, presunto ammorbidimento. Ma non verrà neanche consegnato all'Egitto, che da anni chiede la sua consegna per i progetti di attentato ai danni del presidente Hosni Mubarak. Questa consegna non avverrà perché pochi giorni prima che la Cassazione rendesse definitiva la sua condanna, il ministero degli Interni ha accolto la sua richiesta di asilo politico.

Oggi il governo correrà ai ripari, la commissione centrale riesaminerà il caso, il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano denuncia che «questo è quello che accade quando, di fronte al pericolo terrorismo, una parte delle istituzioni fanno il loro dovere e altre se ne vanno per i fatti propri». Ma la verità resta, innegabile e imbarazzante. Il terrorista Abu Imad ha ottenuto lo stato di rifugiato grazie a due sentenze della magistratura amministrativa che, ribaltando la decisione dell'autorità di governo, lo ha ritenuto un perseguitato meritevole di protezione.

La prima sentenza è del Tar della Lombardia, 6 giugno 2001. Abu Imad, entrato in Italia nel 1993 col trucco di un visto turistico, nel 1995 si è visto rifiutare lo status di rifugiato, fa ricorso: «Premesso di essere stato più volte arrestato, sempre assolto e scarcerato dai tribunali del suo paese, assume di avere subito persecuzioni e torture da parte delle forze di polizia e dei servizi di sicurezza in quanto classificato dal regime egiziano come membro di un gruppo islamico duramente combattuto dal regime». I giudici si commuovono, prendono tutto per buono, scrivono che «l'appartenenza a un movimento religioso che si connoti per una radicale intransigenza ideologica non può di per sé sola costituire ragione di persecuzione politica né legittimare trattamenti persecutori o metodi di tortura», e accolgono il ricorso. Si dirà: alle Torri gemelle mancavano ancora tre mesi, la sensibilità verso il rischio islamico era ancora tenue. Ma cinque anni dopo, in pieno allarme terrorismo, a occuparsi della faccenda è il Consiglio di Stato: che dà ragione un’altra volta al predicatore di viale Jenner, nel frattempo inquisito per terrorismo.

Al Viminale fanno melina ancora per quattro anni, poi devono eseguire l’ordine. Il terrorista Abu Imad si vede recapitare in carcere il decreto che lo nomina rifugiato politico. Quando l’ha visto, il suo avvocato non ci credeva neanche lui.

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