Assalto alla Lazio: «Arrestate Chinaglia»

Soldi sporchi e minacce per conquistare il controllo del club biancoceleste. Ordini di custodia per nove persone tra cui i leader degli ultras della Curva Nord

Marcello Di Dio

da Roma

Due filoni di indagine della Digos romana e del nucleo operativo della Guardia di Finanza culminati con nove ordinanze di custodia cautelare in carcere - il nome illustre è quello dell’ex bomber laziale Giorgio Chinaglia - per i reati di aggiotaggio informativo e tentata estorsione. Questa la sintesi dell’inchiesta romana, già anticipata da Il Giornale (i nostri cronisti sono stati addirittura indagati), riconducibile al tentativo di scalata della Lazio e alle minacce ricevute dal patron Claudio Lotito da parte di alcuni ultras.
Nelle oltre cento pagine dell’ordinanza emessa dal Gip Guglielmo Muntoni, emerge il patto tra il gruppo che aveva Chinaglia come uomo immagine e il direttivo degli «Irriducibili» per esercitare una pressione sempre più crescente sul presidente della Lazio. Così sono finiti dietro le sbarre i quattro leader del gruppo ultras (Fabrizio Piscitelli, Yuri Alviti, Fabrizio Toffolo e Paolo Arcivieri) con l’accusa di tentata estorsione, ma anche l’imprenditore Guido Carlo Di Cosimo, il portavoce di Chinaglia, Giuseppe Bellantonio (difeso dall’avvocato Iezzi) e l’intermediario Bruno Errico, accusati di aggiotaggio informativo (il titolo Lazio ha subito oscillazioni fortissime a febbraio e marzo). Ancora all’estero lo stesso Chinaglia e l’imprenditore ungherese Zoltan Szlivas, l’uomo che millantava un mandato da parte dell’azienda farmaceutica Gedeon Richter, potenziale acquirente della Lazio. La somma di 24 milioni di euro era la cifra che il «gruppo Chinaglia» aveva messo sul piatto (ma con un bonifico fantasma accreditato presso uno sportello della Banca San Paolo-Imi su un conto intestato all’ex centravanti) per rilevare il pacchetto azionario della società romana. Secondo la procura, anche sulla scorta di indagini della Dda di Napoli, questo denaro era capitale derivante da proventi illeciti riconducibile a Giuseppe Diana, imprenditore casertano, indagato per riciclaggio «organico al clan dei Casalesi». E proprio Diana ha sostenuto le spese di trasferta di Chinaglia.

Il quale, convocato dalla Consob, avrebbe fornito tre versioni diverse a proposito degli investitori: prima l’azienda succitata, poi due banche sempre ungheresi. «Sono in buona fede, farò chiarezza», le parole del latitante Long John. Intanto Fiamme Gialle e Digos hanno scoperto il «bluff», salvando la Lazio da conseguenze devastanti sul piano finanziario.

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