Assalto milionario al portavalori: è caccia a una banda di giostrai

Hanno incendiato tre auto per bloccare il traffico e creare una cortina di fumo che li nascondesse alla vista

Una certezza: il gruppo di fuoco che l’altra sera ha seminato il terrore sull’autostrada Milano-Venezia, era composto da professionisti. Tattica militare, freddi, decisi, soprattutto organizzatissimi. Sia nel piano d’attacco che in quello di fuga. Nulla lasciato al caso.
Col passare delle ore i poliziotti della Mobile di Bergamo, affiancati dai colleghi bresciani della sezione criminalità organizzata, in mano hanno ora un quadro quasi completo. Forse gia una sorta di «profilo genetico» del commando. Un milione e mezzo di euro il bottino strappato dal furgone portavalori del «G4», denaro prelevato da una banca di Milano e che avrebbe dovuto arrivare nel caveau dell’istituto di vigilanza di Brescia.
Sono stati almeno otto-dieci i banditi schieratisi sulla A/4 all’altezza di Calcinate, capaci di bloccare contemporaneamente il traffico e il blindato col denaro. Armati di Kalashnikov, molotov e soprattutto di un «flex», la speciale sega circolare alla quale non resistono nemmeno i metalli più duri. Con questa hanno praticato un foro quadrato sul retro del furgone davanti a decine di testimoni impotenti. Già, il «flex», una sorta di marchio di fabbrica. Quasi una matrice. «Di solito la usano i giostrai sinti, quelli di stanza nel Triveneto e che agiscono spesso con l’appoggio di complici slavi», spiegano gli esperti dello Sco di Roma.
Sono grosso modo tre le organizzazioni in Italia capaci oggi di un colpo simile. «La banda dei sardi, quella dei pugliesi e appunto quella dei giostrai. Per scardinare i blindati però gli altri preferiscono dinamite o plastico». Si intuisce come la pista di un attacco ideato da una qualche organizzazione terroristica a caccia di autofinanziamenti, non sia considerata prioritaria dagli investigatori. No, questi sarebbero degli specialisti dell’assalto alla «diligenza». L’altra sera sono arrivati con cinque auto, tutte rubate nei giorni scorsi tra Milano e Pavia. Poi una volta bloccati gli automobilisti che seguivano, ne hanno fatti scendere un paio e hanno incendiato le vetture. Una cortina di fuoco per proteggere la rapina ed evitare interventi. Una ventina di proiettili calibro 7,62, sparati contro i due sceriffi alla guida del furgone ho hanno fermato. Sono stati disarmati entrambi mentre il terzo vigilante, seduto nella «stiva» non ha potuto far altro che arrendersi. Questione di minuti, abbastanza per far scattare l’allarme ma non sufficienti per permettere alla polizia di arrivare in tempo.
«Ho pensato di poter morire, è stato terribile», racconta sconvolto Alessandro Frassine, la guardia giurata al volante del blindato. «Ci hanno affiancato con le auto e hanno iniziato a sparare alle gomme, così ci siamo dovuti fermare». È stato quello il momento più drammatico. «Uno dei rapinatori ha scaricato la mitraglietta sul parabrezza che fortunatamente ha tenuto. Ci hanno fatti scendere e sdraiare a terra. “Voglio rivedere la mia bambina”, ha detto uno di noi e questo ha probabilmente irritato uno dei banditi che l’ha preso a calci».
Arraffato il denaro il commando si è sparpagliato. I soldi sono stati gettati in un furgone ripartito a tutta velocità, i banditi si sono divisi salendo su una Hyundai e una Passat, poi ritrovate bruciate una ventina di chilometri più avanti. Altri hanno scavalcato la recinzione e si sono dileguati su una vettura che li aspettava fuori dall’autostrada.

Soltanto uno ha cercato di scappare a piedi: i primi poliziotti arrivati sul posto lo hanno visto, hanno sparato qualche colpo in aria a scopo intimidatorio, ma lui è riuscito a sparire tra i campi.
Ecco la cronaca di una serata di guerra italiana.

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