Assolti Daki e soci: anche per l’Appello sono «guerriglieri»

Il marocchino accusa: l’Fbi mi ha interrogato illegalmente

Gianluigi Nuzzi

da Milano

«Allah è grande», «Viva l’Italia!». Così Mohamed Daki, il «non terrorista» del gip Clementina Forleo essendo solo «un guerrigliero» che combatte per liberare i Paesi islamici incassa un’importante assoluzione anche al processo davanti alla terza Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Santo Belfiore. Spazzata via l’accusa di terrorismo internazionale. Azzerata la richiesta di condanna pronunciata dal sostituto procuratore generale. Non è un terrorista. Non ha favorito Al Qaida. È distante anni luce dai tagliateste di Osama Bin Laden. Stessa valutazione per i suoi amici, i tunisini Maher Bouyahia e Ben Saffi Toumi. I due dovranno scontare tre anni di reclusione per rispondere dei reati satellite, quelli di associazione a delinquere, ricettazione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma si tratta di accuse in secondo piano rispetto a quella nuova di terrorismo internazionale che cercava accredito dalla Corte.
Daki però uscendo dall’aula lancia un’accusa. E lascia spazio a inquietanti scenari. Ovviamente contro il nemico giurato, gli Usa: «Il 6 e 7 ottobre 2003 - denuncia - sono stato preso dal carcere, portato qui a Milano al sesto piano e interrogato da gente americana. Ho chiesto il mio avvocato e hanno detto che non ce n’era bisogno. Sono stato interrogato per due volte nell’ufficio del pm Stefano Dambruoso da agenti americani senza la possibilità di avere vicino il mio difensore, senza un verbale finale». E rincara: «Sono stato anche minacciato di finire a Guantanamo se non avessi collaborato. Il primo giorno - ha continuato - erano presenti sei americani, e il secondo solo due uomini . Uno mi mostrò un tesserino dell'FBI, un altro credo, come poi ho letto su alcuni giornali, fosse Robert Seldon Lady» (l'ex vice console a Milano, e uno degli uomini della Cia accusati dalla Procura di Milano da aver rapito l'ex imam Abu Omar).
L’ex sostituto procuratore di Milano oggi esperto giuridico presso la rappresentanza italiana Onu a Vienna, minimizza e parla di accuse destituite di fondamento. Insomma, si tratterebbe di una rivalsa da parte dei suoi indagati: nessun interrogatorio da parte di agenti dei nostri servizi o di quelli Alleati sarebbe avvenuto in Procura senza l’assistenza dei difensori.
Insomma, la Corte d’Appello di Milano si spinge anche oltre alla tesi della Forleo, ha infatti derubricato per Bouyahia e Toumi il reato di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo internazionale in associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, facendo arrivare la pena a tre anni. Più favorevole questa sentenza d’Appello anche per Daki visto che la Forleo assolse il marocchino dall’accusa di terrorismo internazionale, ma lo condannò a 2 anni e 10 mesi per ricettazione di documenti falsi. Invece, i giudici di secondo grado hanno ritenuto Daki innocente anche su quest'ultima accusa. «Quella di oggi - afferma Gabriele Leccisi, difensore di Toumi - è una sentenza storica perché la tesi del Gup Forleo ha vinto». Vainer Buranim, difensore del marocchino è lapidario: «Il peggio ormai è passato. Sono soddisfatto per il risultato ottenuto. Ora chiederemo la revoca dell’obbligo di dimora e di firma»». Ma si capisce che la partita non è finita.

Leccisi rilancia infatti le accuse di Daki, ripetendole anche per il proprio assistito: «È stato vittima di una illegalità - sostiene - da parte del dottor Dambruoso: pochi giorni dopo essere stato arrestato è stato interrogato dai servizi segreti in questa procura senza un avvocato. Queste cose devono cessare perché siamo in un Paese libero».
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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