Assurdo poliziesco alla romana dentro un ascensore bloccato

Restare un’ora e tre quarti chiusi in ascensore è una tortura. Se però capita in un film, il supplizio rischia di estendersi dallo schermo alla platea. È vero che Piano 17, scritto e diretto dai Manetti Brothers, ovvero Marco e Antonio, si nutre copiosamente di flashback, operazione che allenta la noia, ma non la soffoca del tutto, ferma restando l’assurdità della storia, una delle più inverosimili mai raccontate. Escluse quelle che escono sotto elezioni dalla bocca dei politici. A meno che qualcuno trovi normale che per far sparire una pratica scottante, anziché sottrarla con destrezza, si preferisca piazzare una bomba sotto la scrivania in cui è custodita. Siamo a Roma. Il rapinatore Mancini (Giampaolo Morelli) indossa la tuta di addetto alle pulizie e con l’ordigno nel carrello delle scope si avvia verso l’obbiettivo: il diciassettesimo piano di una grande banca ormai vuota. Senonché prima che la porta si chiuda, ecco infilarsi nell’ascensore due impiegati: la minigonnata segretaria, e amante, del capo, Violetta (Elisabetta Rocchetti) e l’impacciato Meroni (Giuseppe Soleri). Lei ha un appuntamento con chissà chi, lui ha dimenticato di depositare dei documenti. A metà strada l’ascensore si blocca. Il timer avverte: il botto avverrà tra cento minuti. La ragazza dà in escandescenze, l’altro, cotto invano di lei, abbozza.

E lo spettatore tra l’altro si chiede: perché nessuno dei due chiama il 113, visto che il bandito si è ben guardato dal rivelarsi? E perché i due pali là fuori, debitamente avvertiti dal compare segregato, restano in macchina a girarsi i pollici? Due le ciliegine sulla torta: il solito, implacabile romanesco e una musica spaccatimpani che non tace mai.

PIANO 17 (Italia, 2005) dei Manetti Brothers con Giampaolo Morelli, Elisabetta Rocchetti. 108 minuti

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