Astensione lecita come l’ostruzionismo in Parlamento

Astensione lecita come l’ostruzionismo in Parlamento

Francesco Damato

Gli ultimi dubbi sulla tentazione di rimanere al mare, per quanto minacciato dalla pioggia, e di disertare i referendum di domenica me li hanno fatti passare i sostenitori del sì all’abrogazione parziale della legge sulla fecondazione assistita con i loro insulti agli astensionisti, trattati come imbroglioni. L’esito della prova elettorale, secondo tanti moralisti da strapazzo, verrebbe addirittura manipolato facendo mancare alle urne la partecipazione della maggioranza più uno degli aventi diritto al voto: il cosiddetto quorum. Eppure nelle aule parlamentari l’opposizione pratica frequentemente l’ostruzionismo contro le leggi sostenute dalla maggioranza assentandosi al momento opportuno per far mancare il cosiddetto numero legale e interrompere le sedute.
Si è detto che questo paragone non regge, trattandosi di partite troppo diverse fra loro. Rimaniamo allora nel campo esclusivamente referendario, dove però il nostro Giuseppe Salvaggiulo ha elencato qualche giorno fa le partite giocate sul fronte degli astensionisti da Marco Pannella e Piero Fassino: gli stessi che, travestiti da prefetti della democrazia, vorrebbero questa volta precettare gli elettori per mandarli per forza tutti alle urne.
Se in questa vicenda dei referendum sulla fecondazione assistita ci sono degli imbroglioni, costoro vanno cercati fra quelli che sostengono il sì, ma anche il no, dicendo che così votando si spianerebbe la strada al Parlamento per migliorare poi le norme in vigore. Mi dispiace che a questo gioco si siano prestati anche uomini di una certa finezza giuridica come Giuliano Amato e Tonino Maccanico.
Quest’ultimo ha detto testualmente qualche giorno fa in una intervista al Corriere della Sera che i suoi quattro sì sono «il modo più sicuro per aprire la via a una normativa più giusta e più in sintonia con gli orientamenti prevalenti a livello internazionale», cui potrebbero finalmente provvedere le Camere rimediando agli errori evidentemente compiuti approvando la legge l’anno scorso. Ma il Parlamento, come ha limpidamente spiegato il costituzionalista Paolo Armaroli ai nostri lettori rifacendosi alla disciplina attuale del referendum, per cinque anni non può intervenire per modificare ciò che gli elettori hanno prodotto in termini legislativi abrogando o confermando le norme, o solo parti di esse, sottoposte al loro giudizio. Cinque anni, certo, non sono molti. Ma non sono neppure pochi. Essi equivalgono alla durata ordinaria di una legislatura.
Lo stesso Maccanico, d’altronde, si è tradito contestando agli astensionisti, nella stessa intervista, il diritto di confondersi con il fronte del no all’abrogazione. In mancanza di quorum - ha spiegato recuperando la competenza del giurista - non si può dire che ha vinto il no, ma solo che l’elettorato «vuole che la legge torni in Parlamento». Infatti l’unico modo per consentire alle Camere di rioccuparsi subito della legge sulla fecondazione assistita è di vanificare i quattro referendum di domenica facendo mancare ad essi la partecipazione della maggioranza degli elettori. In tal caso i referendum, per quanto costati purtroppo un bel gruzzolo di soldi, non varrebbero niente, come se non si fossero mai svolti: un’ottima ragione, quindi, se si condivide l’esigenza di migliorare le norme in vigore, non per votare sì o no ma per astenersi.

Pazienza se Gianfranco Fini, peraltro in paradossale dissenso dalla stragrande maggioranza del suo partito, considera «diseducativo» l’invito all’astensione.

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