Attore legato e strangolato in casa

L’uomo aveva le mani e i piedi legati con un cavo elettrico. La morte risale a martedì

Alessia Marani

Mani e piedi legati col filo elettrico, segni di strangolamento attorno al collo: così i vigili del fuoco hanno trovato ieri sera intorno alle 20,10 nella sua casa di viale Vaticano, il corpo senza vita di Sergio Tosio Aru, attore di 39 anni d’origine cagliaritana, una famiglia benestante alle spalle. Una carriera «in sordina» la sua, tra teatro, tv e cinema. L’ultimo lavoro quello col regista Piero Livi, nel film «I dimenticati», storia di un gruppo di poveri militari sardi mandati a combattere sul fronte russo nella Seconda Guerra Mondiale. Bel fisico, viso dai lineamenti regolari, poco più che ventenne aveva avuto una parte anche nel telefilm «Classe di ferro» dell’89 con Eva Grimaldi e Gianpiero Ingrassia. E con Luigi Ronconi a teatro aveva lavorato al «Re Lear». Dalla sera di martedì Aru mancava all’appello. Preoccupati perchè non rispondeva al cellulare, nè alla porta di casa, alcuni amici hanno avvisato 118 e 115. Quando la squadra «9A» dei pompieri di Prati ha fatto irruzione nell’elegante appartamento al piano terra dello stabile d’epoca al civico 68, ecco la macabra scena. L’abitazione in disordine, nella camera da letto il cadavere. Aru, secondo un primo esame del medico legale sarebbe stato legato, quindi strangolato. La sua morte dovrebbe risalire alla sera precedente. L’autopsia scioglierà ogni dubbio. Sul caso indagano gli uomini della squadra mobile capitolina insieme coi colleghi della Scientifica. In cucina mancherebbero delle stoviglie, segno forse che Aru aveva cenato o comunque bevuto qualcosa assieme con i suoi assassini. Gli stessi che per eliminare ogni traccia da cui poter ricavare il loro Dna avrebbero pensato bene di disfarsi di piatti e bicchieri. Ulteriori indizi potranno saltare fuori dai tabulati telefonici di Aru, così come dal suo cellulare. Le modalità dell’omicidio farebbero pensare al delitto a sfondo sessuale. Forse un incontro occasionale, l’ennesimo a Roma, finito nel sangue. Di appena due settimane fa l’assassinio di Mario Carpineti, pensionato di 72 anni, trovato ucciso in una camera d’albergo a Ostia. Aveva trascorso la notte in compagnia di due giovani dell’Est che, senza pietà, lo avevano colpito alla testa e poi soffocato con un cuscino. Gli assassini, due romeni di 23 e 31 anni, già pronti per la fuga sono stati poi raggiunti e arrestati dai carabinieri una settimana dopo. Dal 1990, d’altronde, nella capitale si concentra il numero più alto di omicidi-gay: ben 30 sui 113 avvenuti in Italia. Tra le mura vaticane, a due passi dall’abitazione di Aru, il 4 gennaio del ’98 tocca ad Enrico Sini Luzi, gran cerimoniere del Papa, massacrato a colpi di candelabro nel suo lussuoso appartamento da un romeno conosciuto per strada. Ma il primo della serie mai interrotta è Salvatore Pappalardo, ucciso a colpi di bastone nel 1980 a Monte Caprino, storico luogo d’incontro degli omosessuali romani. Sempre d’origine sarda era Luciano Lasio, il cameriere di 49 anni, assassinato nella sua casa di via dei Castani, a Centocelle, il 12 gennaio scorso.

Fondamentale per la polizia per incastrare i suoi carnefici, due fratelli romeni di 16 e 22 anni, la testimonianza di un amico che aveva saputo indicare i due «ragazzi di vita», frequentatori abituali di piazza della Repubblica.

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