
Gentile direttore Feltri,
che cosa pensa della bandiera palestinese esposta sulla cima del Campidoglio, a Roma? È un gesto di solidarietà o un'offesa al nostro Paese?
Donato Sepe
Caro Donato,
ti dirò senza giri di parole quello che penso: vedere sventolare la bandiera palestinese sul Campidoglio, cuore simbolico e istituzionale d'Italia, è stato uno spettacolo indecente. Non è soltanto una provocazione, è un insulto deliberato all'identità, alla storia e ai valori fondanti del nostro Paese.
Il Campidoglio non è un luogo qualsiasi. È Roma. Ed è Roma non solamente in senso geografico, ma culturale, spirituale. È la culla del diritto romano, il fondamento della civiltà giuridica occidentale. È la capitale della cristianità, il centro di irradiazione millenaria dei nostri valori. È il fulcro dell'italianità. E su quel palazzo, in quella sede, deve sventolare solo una bandiera: il tricolore. Tutto il resto è contaminazione ideologica.
Esporre una bandiera straniera in cima ad una sede istituzionale è già di per sé un atto politicamente discutibile. Esporre la bandiera palestinese, in questo momento storico, è qualcosa di ben peggiore: è uno schiaffo a Israele, Paese democratico, alleato dell'Italia, che ha subito un massacro terroristico il 7 ottobre. Ma è anche uno sberleffo ai cittadini italiani che non ne possono più del fanatismo ideologico, delle solidarietà unilaterali, dell'odio travestito da attivismo. Mi chiedo con quale logica si possa giustificare una simile esibizione. Davvero qualcuno crede che issare la bandiera palestinese sia un gesto «di pace»? È semmai un gesto fazioso, divisivo, pericoloso. Perché quella bandiera lo si voglia o no è oggi diventata emblema di un mondo che odia l'Occidente, che disprezza la nostra cultura, che giustifica la violenza, che considera l'Europa un nemico da conquistare o da punire. Non tutti i palestinesi sono terroristi, certo. Ma quella bandiera è ormai associata a troppi crimini, troppi massacri, troppi festeggiamenti in piazza per attentati contro civili, donne, bambini, anziani. Chi espone oggi la bandiera palestinese, lo fa contro qualcosa, non per qualcosa. È contro Israele, contro l'Occidente, contro le regole della convivenza civile. È contro di noi. E poi, scusami, provaci tu a portare una bandiera italiana a Gaza, a Beirut, a Teheran. Non ti lascerebbero nemmeno entrare. E allora perché mai noi dovremmo sventolare simboli altrui, soprattutto quando sono i simboli di una causa ambigua, intrisa di fanatismo religioso e odio antisemita?
La verità, caro Donato, è che abbiamo perso il lume della ragione. In nome di un «progressismo» malato, abbiamo rinunciato ai nostri simboli, alla nostra identità, alla nostra fierezza nazionale. Ci vergogniamo del tricolore, ma sventoliamo vessilli estranei, spesso ostili. Offriamo solidarietà unilaterale a chi ci odia. Ci inginocchiamo davanti a chi sogna di vederci sparire. La bandiera palestinese sul Campidoglio non è un atto di inclusione. È una resa. È il segno di un'Italia che ha smarrito sé stessa, che ha paura di difendere i propri valori, che si piega al ricatto morale di chi predica odio travestito da pace.
Personalmente, trovo tutto questo intollerabile.
Chi vuole la pace deve sostenere chi difende la civiltà, non chi la minaccia. Chi crede nella libertà, nella democrazia, nel diritto, non può mettere sullo stesso piano uno Stato come Israele e una organizzazione terroristica come Hamas.
La smettano una volta per tutte con questi gesti di servilismo mascherato da solidarietà. E si ricordino che la bandiera italiana non è un optional: è l'unico simbolo che ha il diritto di sventolare sulla casa degli italiani.