 
Caro Direttore Feltri, sono un cittadino calabrese, e ho una domanda che mi porto dentro da anni. Da quando ero piccolo ho sentito parlare del Ponte sullo Stretto di Messina come fosse un sogno di fantascienza e solo ultimamente ho cominciato a pensare: «Sarà pronto, diventerà realtà», «inizieranno i lavori», «il Sud cambia». Mi sembrava quasi di poterlo toccare. Ora, quando finalmente pareva tutto avviato, arriva lo stop, stavolta non a causa di problemi tecnici, ma di una decisione della Corte dei Conti che non dà l'ok al progetto. Mi chiedo: che ne sarà del Sud? Lei, Direttore, cosa ne pensa di questa battuta d'arresto che penalizza ancora una volta il mezzogiorno d'Italia?
Giacomo Barreca
Caro Giacomo,
ti ringrazio per la tua lettera, è il grido di tanti, troppe volte rimasti inascoltati. Tu parli di un sogno calabrese, di un ponte che unisce la penisola, di un Sud che finalmente prende la sua corsia d'innovazione. E invece si ritrova davanti a un blocco. E la cosa più amara è che questo non è solo un problema tecnico o burocratico: è una decisione giudiziaria ma dal sapore politico, una decisione che paga soprattutto il Sud.
Si dice che la decisione della Corte dei Conti, o meglio, il mancato «visto di legittimità», abbia motivazioni di trasparenza, procedure, costi. E va bene che la legge venga applicata. Ma permetti anche a me di notare che, ogni volta che si tratta di accelerare, innovare, creare infrastrutture, capita che qualcuno si piazzi davanti con il bastone tra le ruote, e noi siamo destinati a restare fermi.
Hai ragione: non si tratta di impedire il Ponte, ma di rallentarlo. E il rallentamento è già una sconfitta per chi aspetta da una vita, come te. Il Sud merita infrastrutture, modernizzazione, connessioni, una dignità logistica pari al resto del Paese. Invece, viene fatto attendere, contare le spese, misurare i passaggi, mentre altri Paesi, e altre aree d'Italia, vanno avanti.
La verità è che ogni volta che s'innesta un progetto ambizioso, qualcuno lo riduce al «no, ma aspettiamo» o «vediamo». Se continuiamo così, non mettiamo la retromarcia, mettiamo direttamente il freno a mano.
Lo Stato non può vivere di esitazioni. Non può dire al Sud «aspetta» quando tutti gli altri dicono «andiamo». Non può permettersi che l'innovazione diventi un privilegio per pochi e non un diritto per tutti.
Tu parli di sperpero di risorse. Perdonate tutti se lo dico brutalmente, ma mi pare che il vero sperpero sia non fare. Non costruire, non collegare, non dare voce ai territori che già arrancano.
Rallentarne i progetti per questioni che forse avrebbero potuto trovare soluzioni più rapide, più coraggiose, più pragmatiche, è un lusso che non possiamo permetterci.
Pertanto, sì: condivido con te l'amarezza. Sì, credo che questa decisione sia una battuta d'arresto storica per il Sud. Ma non credo che sia la fine del sogno.
Il
Ponte è ancora possibile. Ma dobbiamo chiederlo, pretenderlo, non rassegnarci all'attesa, non piegarci ai cavilli pretestuosi che mettono in ginocchio stavolta proprio quella parte del Paese che ha bisogno di risollevarsi.