Io il consumismo lo adoro, mi mette allegria, e lo dico senza nessuna ironia, mi mette allegria, potessi fondare un partito lo chiamerei Rifondazione Consumista. Eppure ogni anno quando arriva il Black Friday mi ritrovo davanti allo stesso paradosso, cioè che non so cosa consumare non perché non voglia consumare, è che le cose che propongono scontate, blackfridayzzate, non mi interessano minimamente. L’algoritmo ci spia? Mi spiasse meglio.
Io sono il consumatore ideale, quello che se vede una cosa bella la compra, senza sensi di colpa, senza eco-moralismi, senza tutte quelle prediche da gente che deve dimostrare qualcosa agli altri e soprattutto a se stessa, e la cosa assurda è che proprio questo sistema che teoricamente dovrebbe viziare uno come me si presenta ogni anno con un catalogo di oggetti che sembrano progettati per una specie umana diversa, magari più entusiasta, più pragmatica, più incline all’utile, più saggia, oppure più incline a cadere nella trappola del “wow” che per me è sempre un “mah”.
Leggo le statistiche, perché leggo sempre tutto anche quando non serve, e scopro che più dell’ottanta per cento degli italiani parteciperà al Black Friday, e che aumenteranno perfino le spese, e che le offerte partiranno prima del previsto, e che possiamo ancora permetterci il lusso di comprare cose che non dureranno più di una stagione, e in tutto questo io che invece il consumismo lo difendo proprio da dentro, da militante del desiderio materiale, rimango escluso. Possibile? Ogni anno quello che voglio io non entra mai negli sconti, anzi a volte sembra perfino aumentato, come se esistesse un algoritmo segreto che dice “Parente vuole questo, quindi prezzo pieno” e la cosa assurda è che mi sta bene così, mi viene da comprarlo a maggior ragione, per dispetto, per dispetto a quello che mi sembra un dispetto.
Tra l’altro ogni sito ti avvisa delle truffe e dei rischi e del fatto che le frodi aumentano del quattrocento per cento e che devi stare attento e controllare l’URL, la provenienza, la storia del prezzo, che ansia. Comunque, una giungla di aspirapolvere intelligenti, frullatori che ti parlano, tv enormi che sembrano lobby di alberghi, cuffiette sempre uguali, dispositivi che promettono di migliorarti la vita (per migliorare la mia non sono bastati dieci psichiatri e cinque psicologi, quattro dei quali sono andati in psicoterapia a loro volta, a causa mia).
Quindi a un certo punto ho capito che potevo proporre, almeno a voi, una guida, una guida consumista ma disperata ma realistica, alla portata di tutti tranne che per me. Cinque regole d’oro (a proposito, l’oro è sceso, non c’entra niente ma già che ci sono ve lo dico).
Regola uno: compra solo ciò che desideri da mesi, cioè non farti attrarre dal marketing dell’istante, quello è il consumismo cretino, quello compulsivo, quello che ti fa perdere interesse due ore dopo, mentre il consumismo serio è fatto di desideri sedimentati, di cose che guardi e riguardi e rimetti nella wishlist e ricontrolli la notte, insomma mettici un minimo di dignità del desiderio. Probabilmente quelle cose non saranno mai in sconto, ma fregatene, meglio che prenderne una scontata di cui non te ne farai niente.
Regola due: diffida degli sconti enormi, siccome non esiste lo sconto al settanta per cento a novembre senza che qualcuno abbia gonfiato il prezzo a ottobre, sono matematiche del marketing che non ingannano nessuno tranne chi vuole farsi ingannare, e io non voglio farmi ingannare, voglio solo comprare, e anche tu, o mio lettore, compra ciò che vuoi davvero ma senza illuderti di aver fatto l’affare della vita.
Regola tre: evita i siti urlanti, quelli che appena entri ti assaltano con popup e countdown e banner che lampeggiano come una discoteca degli anni Ottanta, nessun sito che urla merita il tuo denaro, il consumismo richiede calma, lucidità, eleganza, non questa isteria graficizzata, non siamo in Corea del Sud né a Las Vegas.
Regola quattro: non comprare quello che comprano tutti, perché gli oggetti della massa sono sempre gli oggetti più tristi, quelli che ti illudono di avere qualcosa in comune con gli altri quando in realtà è solo un modo per standardizzare il desiderio. Io, per citarne uno a caso, compro solo ciò che rispetta la mia idiosincrasia, che spesso coincide col fatto che è introvabile, mai scontato e spesso nemmeno disponibile.
Regola cinque: accetta il destino, cioè accetta che se desideri qualcosa davvero quella cosa non entrerà mai nel Black Friday, anzi probabilmente il produttore alzerà il prezzo proprio quel giorno, come forma di resistenza contro i consumatori troppo intelligenti.
E quindi sì, alla fine io partecipo al Black Friday come tutti sebbene in un modo completamente diverso: entro, guardo, scorro, mi indigno, rido, mi annoio, e continuo a sperare che da qualche parte, fra una soundbar triste e un bollitore che fa finta di essere futuristico, appaia finalmente l’oggetto che voglio, e anche se non appare io continuo a crederci, perché il consumismo, quello vero, è la convinzione, quasi una fede (perfino per me che non ho fede in niente), nell’idea che qualcosa, da qualche parte, possa ancora piacerti abbastanza da volerlo, anche se poi costa esattamente quanto costava ieri.
Mi rendo conto, ora, che il Black Friday è un’invenzione non per consumisti veri, ma per consumatori dell’utilità a buon mercato. Mentre io, in generale, seguo Oscar Wilde: «Posso fare a meno del necessario, ma non del superfluo». E, maledizione, il superfluo che mi è necessario non te lo scontano mai.