Caro Direttore Feltri,
ho letto le parole sconcertanti di Francesca Albanese sull'assalto dei pro-Palestina alla redazione de «La Stampa». Dice che la violenza è «condannabile», ma che deve essere «da monito» ai giornalisti, come se fossero loro, in fondo, ad aver provocato l'irruzione degli incappucciati. Lei che cosa ne pensa?
Di chi è la colpa di un'aggressione del genere?
Giorgio Dionigi
Sbaglia chi ha dei dubbi sulla responsabilità dell'assalto alla redazione de La Stampa. La risposta, per chi non ha problemi di vista e di cervello, è elementare: la colpa è di chi assalta, non di chi subisce l'assalto. Punto.
Solo in Italia, e solo in certi ambienti ideologizzati fino al midollo, serve ancora ribadirlo. E ci tocca sentire la signora Francesca Albanese, che nella vita dovrebbe occuparsi di diritti umani ma da anni li interpreta alla rovescia, spiegare che la violenza è sì «condannabile», ma che deve servire da monito ai giornalisti.
Un monito? E a che titolo? Dovremmo forse concludere che, se una banda di incappucciati sfonda una sede giornalistica, la colpa è dei cronisti che hanno scritto articoli non graditi alla folla urlante? Dovremmo forse prendere lezioni di giornalismo da chi giustifica la violenza purché venga agitata sotto la bandiera «giusta»? Siamo alla follia pura.
Una follia che assomiglia in modo inquietante a certi discorsi che si sentivano negli anni di piombo, quando si diceva che chi finiva gambizzato se l'era «andata a cercare». Erano idiozie allora, rimangono idiozie oggi.
I cosiddetti «attivisti» che hanno devastato la sede de La Stampa non sono né attivisti né pacifisti: sono teppisti politicizzati, e quando l'attacco è organizzato, mascherato, mirato contro un simbolo della libertà di stampa, la parola giusta è una sola: terrorismo. Sì, terrorismo. E finché non avremo il coraggio di chiamarlo con il suo nome, continueremo a subire violenze giustificate da gente che gioca a fare la rivoluzionaria da salotto, con il tesserino Onu in tasca.
La signora Albanese non si limita a minimizzare: sposta la colpa dalle mani degli aggressori alla penna dei giornalisti.
È un meccanismo mentale tipico di chi vive in un mondo rovesciato: il violento diventa portatore di una «rabbia comprensibile», la vittima diventa quella che «avrebbe dovuto pensarci».
È la logica del terrore, non quella della democrazia.
La libertà di stampa non è negoziabile.
Non è condizionabile. Non è subordinata all'umore di chi sfonda una porta e appende bandiere verdi e nere ai balconi delle redazioni.
E soprattutto non può diventare il bersaglio di una morale distorta secondo cui i giornalisti devono «imparare la lezione» impartita da chi usa la violenza come argomento politico.Io la lezione non la prendo da nessuno, men che meno da chi non distingue la libertà dall'illegalità. E lo dico anche alla signora Albanese: in democrazia a farci da monito è la legge, non i teppisti.