Intersessualità e Imane Khelif: quelle verità che non si vogliono più dire

Non è transgender ma intersex, è la precisazione circolata sulla pugile algerina dopo lo scoppio della bufera: ma di cosa si tratta?

Intersessualità e Imane Khelif: quelle verità che non si vogliono più dire
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Da qualche giorno non si parla d’altro che di intersessualità. Il merito di questo nuovo trend è dei Giochi olimpici di Parigi 2024, dove l’atleta algerina Imane Khelif ha avuto la possibilità di sfidare e battere l’italiana Angela Carini. La 25enne nordafricana era stata esclusa in precedenza dai Mondiali targati IBA per la presenza nel test del DNA di cromosomi XY, caratteristici del sesso biologico maschile. Tutto in regola, invece, per il Cio, nonostante gli elevati livelli di testosterone. Un caso che ha fatto il giro del mondo, anche se in un primo momento erano circolate notizie diverse, ossia che la Khelif fosse transgender. Una volta scoppiata la bufera, è arrivata la precisazione: è intersex. Ma cosa si intende con questo termine?

Secondo l’Iss, il termine intersessualità si riferisce a tutte le variazioni naturali nei caratteri sessuali che non rientrano nelle tradizionali categorie di maschio o femmina. Queste variazioni possono riguardare cromosomi, ormoni, genitali esterni o organi riproduttivi interni. Alcune condizioni non sono sempre visibili alla nascita, precisa il portale, ma le persone intersessuali possono avere caratteristiche anatomiche, cromosomiche o ormonali che non corrispondo alle definizioni standard di maschio o femmina. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, fino all’1,7 per cento della popolazione mondiale nasce con tratti intersessuali.

L’intersessualità è dunque una categoria molto ampia, tanto da risultare un paravento per i gruppi Lgbt e consonanti mancanti. A quanto reso noto, la vicenda di Imane Khefil è una questione ormonale e non genetica, da qui il via libera alla partecipazione ai Giochi. Ma la stessa atleta è carica di testosterone ed è comunque problematico garantire l’equità nella competizione: la forza della nordafricana non può essere minimamente paragonata a quella delle altre donne. E non si tratta di omofobia o di altre stupidaggini tirate fuori da giornali e associazioni di sinistra, ma di considerazioni fattuali.

La conferma è arrivata persino dall’Amigay aps, l’associazione di medici e professionisti della sanità Lgbti e frendly.

Interpellato dall'Adnkronos, il presidente Manlio Converti ha certificato che la Khefil aveva innegabilmente dei vantaggi, per poi affermare che l’inclusione è più importante delle differenze fisiche, ma quello è un altro discorso. Ciò che resta è la differenza di valori sul ring, perché tra un’atleta intersex e un’atleta donna la sfida non sarà mai qua. Con buona pace delle rumorose minoranze.

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