Chiuso "Mia Moglie", il gruppo Facebook con le foto rubate: ma nascono subito i cloni

Bloccata la pagina la violenza digitale prosegue: già attivi gruppi simili e canali Telegram con gli stessi contenuti illeciti

Chiuso "Mia Moglie", il gruppo Facebook con le foto rubate: ma nascono subito i cloni
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Un gruppo Facebook chiamato “Mia Moglie”, con oltre 31mila iscritti, è finito al centro delle polemiche per la condivisione sistematica di immagini intime di donne ignare, scattate o pubblicate senza alcun consenso. Le foto sono accompagnate da commenti espliciti, sessisti e violenti, che riducono l’intimità femminile a oggetto di consumo pubblico.

Il caso è stato denunciato in queste ore da Carolina Capria, autrice e attivista, attraverso il suo profilo “L’ha scritto una femmina”. Capria ha definito il fenomeno per quello che è: uno stupro virtuale collettivo, che sfrutta l’assenza di consapevolezza delle donne ritratte e l’indifferenza degli autori per la legge.

Le dinamiche del gruppo

All'interno del gruppo, uomini, molti dei quali si presentano come partner delle donne fotografate, pubblicano immagini intime, spesso scattate di nascosto o condivise con l’intento di “mostrarle” al pubblico. I commenti che accompagnano le immagini lasciano poco spazio all’immaginazione e confermano la natura violenta, sessista e oggettificante del contenuto.

Alcuni esempi: "Vi presento mia moglie", "Se si facesse trovare così?", "La sveglio oppure no?". In un dialogo riportato all’interno del gruppo, un utente commenta "bel fisico da puledra la signora, si può vedere altro?", ricevendo come risposta "falle te le foto di nascosto, seguo con interesse". Il gruppo diventa così un luogo digitale di violenza normalizzata, dove la mancanza di consenso non solo è ignorata, ma viene anche irrisa.

Reazioni e segnalazioni

Dopo la denuncia pubblica e le centinaia di segnalazioni inviate sia a Facebook che alla Polizia Postale, alcuni membri del gruppo hanno reagito con arroganza. Invece di scusarsi, molti si sono vantati della visibilità ottenuta: "Grazie agli imbecilli che segnalano, oggi centinaia di iscritti in più", scrive uno degli amministratori.

Altri, per evitare controlli, hanno creato un gruppo privato alternativo, accessibile solo dopo un processo di “autenticazione come coppia reale”, dichiarando apertamente la volontà di sfuggire alle regole e ai controlli: “Solo per veri appassionati, saluti ed in c** ai moralisti”.

Anche su Telegram: la rete si espande

Il fenomeno non si limita a Facebook. Esiste anche un canale Telegram parallelo, dove le stesse dinamiche sono replicate con ancora meno controllo. La natura di Telegram, che garantisce maggiore riservatezza e minore tracciabilità, rende questi canali ancora più difficili da monitorare o chiudere rapidamente.

Diffusione non consensuale di immagini: cosa si rischia

Secondo l’art. 612-ter del Codice Penale italiano, la diffusione non consensuale di immagini intime è un reato punibile con fino a 6 anni di reclusione. Non solo chi pubblica le immagini è perseguibile, ma anche chi partecipa attivamente alla loro condivisione, commento o archiviazione, contribuendo a una forma collettiva di violenza e umiliazione.

Il gruppo (per fortuna ora chiuso) “Mia Moglie” è solo la punta dell’iceberg di un problema molto più profondo: la cultura del possesso, la sessualizzazione non consensuale e la trasformazione delle donne in merce

digitale da esporre, giudicare e consumare. La denuncia di Carolina Capria ha portato alla luce un meccanismo tossico e criminale che deve essere affrontato sia dalle autorità giudiziarie che dalle piattaforme social.

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