
"Che belle le vostre donne, specialmente quelle in carne". Sembra una frase innocua, magari un apprezzamento goffo. Ma dietro parole come queste si nasconde un mondo inquietante e pericoloso, fatto di foto intime condivise senza consenso, fantasie sessuali dichiarate pubblicamente e violazioni sistematiche della privacy. Tutto all’interno di un gruppo Facebook pubblico, accessibile da chiunque, chiamato “Mia moglie ...”, che conta oltre 32 mila iscritti, quasi esclusivamente uomini.
Un gruppo “per soli uomini”, ma aperto a tutti
La prima sorpresa è che non si tratta di un gruppo privato. Non c’è nessuna barriera all’ingresso: basta cliccare e si entra. Nessun controllo, nessuna moderazione apparente, e soprattutto nessuna tutela per le donne inconsapevoli che compaiono nelle foto pubblicate.
Molti dei post contengono immagini scattate di nascosto, oppure foto private condivise dai partner con didascalie esplicite e richieste rivolte agli altri membri per commenti e "pareri". Le donne vengono esibite come oggetti di desiderio, spesso descritte come ignare, e il tutto avviene senza alcun tipo di autorizzazione.
La cultura del non-consenso
A rendere ancora più inquietante questo fenomeno è l’esplicita assenza di consenso. Alcuni utenti lo dichiarano con orgoglio: "Mia moglie non sa nulla", oppure: "Cerco qualcuno con cui parlare di mia moglie (40 anni), ovviamente ignara". La non-consapevolezza delle donne è una componente fondamentale di questa dinamica: non un ostacolo, ma il fulcro stesso del gioco perverso. Si tratta a tutti gli effetti di una forma di violenza digitale e psicologica, che trova terreno fertile in una comunità virtuale dove la condivisione dell’intimità altrui viene scambiata per libertà personale.
Carolina Capria denuncia su Instagram
A sollevare il caso pubblicamente è stata Carolina Capria, scrittrice e attivista, nota per il suo account Instagram @lhascrittounafemmina. Con un post-denuncia, Capria ha messo in luce la gravità della situazione: "I membri si scambiano foto intime delle proprie mogli per commentarne l’aspetto in modo esplicito e dar voce alle proprie fantasie sessuali. Donne spesso inconsapevoli di essere fotografate per diventare prede di uno stupro virtuale". Una definizione forte, ma necessaria: siamo di fronte a un’appropriazione indebita dell’immagine e dell’intimità di persone che non hanno mai dato il loro consenso, e che in molti casi non immaginano neppure di essere esposte in rete.
Pornografia travestita da social
I contenuti pubblicati nel gruppo non si limitano a foto. I post sono spesso accompagnati da commenti sessualmente espliciti, battute volgari, sondaggi a tema pornografico e richieste dirette a persone interessate a pratiche estreme, come l’incesto. Tutto è lecito, tutto viene lasciato passare. Addirittura c’è chi, forse consapevole del rischio legale, invita a spostarsi su Telegram “per divertirsi di più e senza troppi occhi addosso”.
Le denunce e la reazione del gruppo
Nel gruppo non mancano le voci critiche, utenti che entrano per documentare e denunciare quanto accade. Alcuni affermano di aver già fatto segnalazioni alla Polizia Postale, ricordando che la diffusione di immagini intime senza consenso è un reato perseguibile penalmente. La reazione del gruppo è violenta: i “predicatori” vengono insultati, allontanati, derisi. Tra i commenti si leggono risposte come: "Prendi il rosario e chiedi scusa a Dio per aver peccato… e soprattutto non rompere!".
Una retorica difensiva e aggressiva che sottolinea come il gruppo si senta intoccabile, protetto dall’apparente anonimato dei social. Ma ora, dopo la denuncia pubblica e l’attenzione dei media, la situazione potrebbe cambiare.
Un caso di cultura digitale tossica
Il gruppo “Mia moglie ***” è solo la punta dell’iceberg. Come denuncia Capria, esistono molti altri gruppi simili, spesso collegati, su piattaforme diverse, dove si replica lo stesso schema: condivisione di materiale privato, oggettificazione del corpo femminile, totale assenza di consenso e complicità maschile.
Ciò che accade non può essere liquidato come una “goliardata tra uomini”: si tratta di un comportamento penalmente rilevante, che alimenta una cultura della sopraffazione e della prevaricazione sull’identità e sull’autodeterminazione femminile.
La parola ora passa alla Polizia Postale
Dopo le segnalazioni, toccherà ora alla Polizia Postale intervenire. L’articolo 612-ter del Codice Penale punisce la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, anche se non ritraggono esplicitamente atti sessuali.
Chi condivide foto intime di terze persone senza il loro consenso può essere denunciato per violazione della privacy, diffamazione e revenge porn, anche se il contenuto non è stato pubblicato con intenti vendicativi. Resta da chiedersi: come può un gruppo del genere essere ancora pubblico e attivo, sotto gli occhi di tutti, su una delle piattaforme più popolari al mondo.