
Nella lotta contro la violenza di genere, i dati così come vengono diffusi, non basta: bisogna saper leggere i segnali prima che si trasformino in tragedia attraverso parole-spia. È questa la direzione della ricerca in corso al centro HumanLab, condotta da Emma Zavarrone, docente di Statistica Sociale all'università Iulm, insieme alla ricercatrice Alessia Forciniti e basata sull'analisi di testimonianze attraverso tecniche di natural language processing. Un lavoro che è diventato un libro «Data Science e violenza di genere» che sarà presentato oggi alla Mostra del Cinema di Venezia. Al centro c'è un'idea semplice e potente: la parola può essere strumento allerta, «a volte - spiega Zavarrone - cela insidie travestite da lusinghe o una mancanza di rispetto mascherata da attenzione». E la prevenzione - necessaria - nasce da qui. Il percorso come spiega la docente, si articola in quattro fasi, ciascuna caratterizzata da una precisa forma di comunicazione. Si parte dai segnali di allarme, legati a gelosia, controllo sociale o commenti apparentemente innocui come «sei mia» o «non uscire»: frasi che possono sembrare attenzioni, ma nascondono dinamiche tossiche. La seconda fase è quella della «fragilità emotiva», in cui la comunicazione diventa manipolatoria, fatta di sarcasmo degradante o di «vampiri energetici» capaci di svuotare l'altro. Si arriva poi alla «fragilità fisica», terreno di battute offensive, isolamento e primi gesti aggressivi minimizzati come scherzi o attenzioni. Infine, lo stadio del «risveglio» e della «fuga», che coincide con la denuncia e la ricerca di sostegno psicologico. La ricerca si colloca dentro un più ampio filone di ingegneria sociale che punta a trasformare i dati in strumenti di consapevolezza. Perché il problema non riguarda solo le donne: il divario di genere e le forme di prevaricazione colpiscono, come tiene a sottolineare Zavarrone, in modi diversi entrambi i sessi, ma il denominatore comune resta il linguaggio. Come dimostrano le più recenti rilevazioni Istat, stereotipi e forme di sessismo resistono soprattutto tra i più giovani, mentre il 87,4% delle vittime di maltrattamenti continua a essere di sesso femminile.
Il rischio, sottolineano i ricercatori, è che la spettacolarizzazione dei femminicidi alimentata dai media oscuri la vera priorità: la prevenzione. Lavorare sulla statistica sociale è fondamentale, ma non basta. Serve un approccio coordinato che metta al centro l'educazione all'uso consapevole delle parole. Un complimento che suona come imposizione («quel vestito non mi piace, non metterlo più») può innescare la spirale di controllo; la richiesta di accesso al cellulare del partner, giudicata «normale» da una parte delle ragazze, è in realtà un campanello d'allarme.
La sfida è culturale prima che normativa. Le istituzioni hanno piani di contrasto, ma frammentati e non sempre attivi. La burocrazia rallenta, i dati arrivano in ritardo, i diversi organismi faticano a dialogare. Ma ora la prevenzione non può aspettare.