Gentile direttore Feltri,
scrivo con lo stomaco chiuso dopo aver letto la notizia della nonna ottantenne uccisa a martellate dal nipote trentenne ad Acilia. Mi domando come sia possibile una cosa del genere. Quante volte quella donna avrà cucinato per lui, avrà badato a lui da bambino, avrà fatto sacrifici per la sua famiglia? E questo è il risultato? Il nipote la prende a martellate? C'è chi dice che il ragazzo non sopportava più di essere deriso. Ma che significa? Da quando in qua ci si vendica della vita ammazzando la nonna? Se un uomo di trent'anni non tollera l'ambiente domestico, se ne va, non massacra la nonna. Mi spaventa la violenza che esplode dentro le mura di casa. In poche settimane abbiamo letto di tutto... Vorrei sapere cosa ne pensa, direttore.
Giulio Maiocchi
Caro Giulio,
una volta, nelle favole, era il lupo a mangiarsi la nonna. Oggi, nella realtà, è il nipote a prendere a martellate la nonna.
Direi che siamo passati dal simbolico al brutale, dal fantastico allo schifo più autentico. Il caso di Acilia è agghiacciante, ma non sorprendente: la violenza domestica è in crescita costante, e non da ieri. Parliamo tutti di femminicidio, ed è giusto, ma dimentichiamo l'altra metà dell'orrore: i figli che uccidono i genitori, i genitori che uccidono i figli, le madri che gettano neonati nella spazzatura, i nipoti che spaccano il cranio alla nonna ottantenne. La famiglia, che dovrebbe essere rifugio e protezione, è diventata troppo spesso un ring. Non è più solo il luogo degli affetti, è anche il teatro delle peggiori tragedie.
Gli psicologi la chiamerebbero crisi dei legami affettivi. Io la chiamo semplicemente inciviltà crescente, degenerazione dei sentimenti, analfabetismo emotivo, liquidità dei vincoli del sangue. Nel caso di Acilia, il movente, non sopportavo più di essere deriso, è la toppa peggiore del buco.
Sembra un alibi da bambino delle elementari. Se un uomo di trent'anni sta male in casa, esce, cambia aria, cambia vita. Fa le valigie e si trasferisce, magari interrompendo qualsiasi rapporto con i familiari. Non si mette a fare giustizia a colpi di martello su un'anziana indifesa. Non c'è ambiente domestico tossico che possa giustificare un delitto così bestiale.
Chi uccide a martellate non cerca liberazione, bensì cerca sangue.
Il problema è che non abbiamo più rispetto dell'anzianità. Ne parliamo come se fosse un peso, un fastidio, un ingombro. Eppure l'ultimo rapporto del Censis dice una cosa chiarissima: sono i nonni a mandare avanti l'Italia, con pensioni da fame, aiutando figli e nipoti che spesso campano sulle loro spalle. I nonni pagano bollette, spesa, mutui, studi. E fanno pure da babysitter. Sono l'unica rete sociale che ancora funziona. E come li ripaghiamo? Con l'indifferenza, quando va bene. Con la violenza, quando va male. Con la morte, quando va malissimo.
E allora mi domando: se non siamo capaci di rispettare chi ci ha cresciuti, chi ci ha dato tutto, chi ci ha permesso perfino di diventare adulti, che razza di società siamo diventati? Non abbiamo più timor di Dio, né timor di legge, né timor di vergogna. Viviamo in un Paese in cui anche la nonna può finire ammazzata per una frase di troppo.
È la fotografia più spietata dell'Italia di oggi: un luogo dove i legami si sbriciolano, le
reti sociali si frantumano, l'empatia evapora e la frustrazione personale si trasforma in ferocia. La società che non sa proteggere i suoi anziani, la sua parte più saggia e più fragile, è una società che ha già fallito.