Cronaca locale

Aula deserta, la vendita Sea resta a terra

L’Udc si mette di traverso e si sfila, Alleanza nazionale accusa gli alleati di irresponsabilità, la Lega tace in attesa di «pesare» al momento del voto, Forza Italia si spacca e si ricompone a giorni alterni, sindaco e vicesindaco si assentano per «impegni istituzionali». Risultato è che l’accordo nel centrodestra scricchiola, al consiglio comunale manca il numero legale e la delibera per vendere il 34 per cento della Sea non arriva nemmeno in aula. Il centrosinistra esce, 29 presenti sui trentuno necessari, assenti Gabriele Albertini e sette consiglieri della maggioranza. Se ne riparla dopodomani dopo un altro rosario di «tavoli» e «vertici di maggioranza con il sindaco».
Intanto la privatizzazione della società aeroportuale che gestisce Linate e Malpensa voluta, fortissimamente voluta da Gabriele Albertini, assomiglia sempre più a un miraggio. E il rischio di veder andare in fumo i 600 milioni di euro che la giunta vorrebbe reinvestire in grandi opere, un’eventualità sempre meno remota. Di certo c’è che ora tutta Fi «boccia i patti parasociali», gli accordi che consentiranno a chi comprerà di avere potere nella società pur non avendo la maggioranza delle azioni.
In mattinata Albertini era stato lapidario: «La base d’asta è di 8,3 euro per azione», vince «chi offre di più: Provincia, privati, ben venga qualsiasi soluzione». La Caporetto del centrodestra comincia nel pomeriggio con lo sbarco a Palazzo Marino di Bruno Tabacci. Il presidente della Commissione Attività produttive della Camera e qui nei panni di coordinatore provinciale dell’Udc mette nero su bianco l’opposizione alla delibera di vendita. «L’accordo di maggioranza? A noi nessuno ci ha invitato. Fanno sempre tutto loro», polemizzano il capogruppo Udc Giovanni Testori ed Emilio Santomauro. «I patti parasociali danno troppi vantaggi a chi entra - accusa Tabacci -. È di gran lunga preferibile la delibera originaria, quella risalente al 2001 che prevedeva la collocazione della società in Borsa. Delle due una: se i patti parasociali presuppongono il reale controllo della gestione da parte del privato, allora il prezzo fissato di 600 milioni è basso. Nell’altro caso credo non si troveranno acquirenti. E poi chi dice che 600 milioni siano un valore congruo e che il multiplo di dieci utilizzato sul Mol per determinare questa valutazione sia quello più giusto?». Per questo l’Udc è pronta a presentare emendamenti, modifiche alla delibera di vendita che stando così le cose la stravolgerebbero al punto da farla assomigliare molto a quella auspicata dal centrosinistra. Dove sorride Basilio Rizzo: «Stanno crollando anche le motivazioni formali a sostegno della delibera: i soldi per rinegoziare i mutui li hanno già incassati».
Si indigna An. «Sono sconcertato - sbotta il capogruppo Stefano Di Martino -. Ci sono accordi precisi firmati da tutti, non capisco perché poi ognuno faccia quel che vuole». Frecciata all’Udc? «Anche a Fi. Mi sembra di essere all’asilo. Ognuno si prenda le sue responsabilità. Anche a noi qualcosa non piace, ma teniamo fede al patto. Quanto ci vuole per votare quello che è già stato approvato in giunta e sottoscritto dai partiti. Io ci sono fino al 29 luglio. Devo andare a Monza per l’anniversario del regicidio, poi si arrangiano». Fi, intanto, è riunita. Ci sono i commissari Luigi Casero e Maurizio Lupi, assessori (Bruno Simini e Domenico Zampaglione), consiglieri allineati e frondisti. Alla fine del conclave Lupi annuncia che Fi «farà al sindaco una proposta di eliminazione dei patti parasociali che non rientravano nell’accordo politico. La Borsa? Non cerchiamo di svendere la società, cerchiamo un partner che ci aiuti a farla crescere. La Sea deve rimanere a maggioranza pubblica e sotto il controllo del Comune».
La Lega si acquatta.

La partita è appena cominciata.

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