In aula è guerriglia: ma il governissimo che sogna Gianfry è già al tramonto

La "guerriglia" in parlamento, annunciata lunedì da Bersani, ha de­buttato ieri sera nell’aula della Came­ra grazie ai voti dei finiani: tre tonfi imbarazzanti che ri­schiano di trasformarsi in un ottimo assist propagandistico da campagna elettorale per Lega e Pdl

La «guerriglia» in Parlamento, annunciata lunedì da Bersani, ha de­buttato ieri sera nell’aula della Came­ra grazie ai voti dei finiani: tre tonfi consecutivi della maggioranza, no­nostante la chiamata a raccolta di mi­nistri e sottosegretari.

Tre tonfi imbarazzanti, ma che ri­schiano di trasformarsi in un ottimo assist propagandistico da campagna elettorale per Lega e Pdl, che infatti da ieri hanno iniziato a tuonare con­tr­o Fini che vuol riaprire le porte a tut­ti i clandestini del pianeta. E una cam­pagna elettorale ravvicinata, in pri­mavera, ieri era riconosciuta da tutti come lo sbocco più probabile della crisi del centrodestra.

Per iniziare la guerriglia i neo­vietcong hanno scelto un terreno si­curo: da che mondo è mondo nessun governo è mai caduto su una mozio­ne parlamentare, sia pur su temi im­portanti come i diritti umani e i rap­porti con la Libia. E infatti l’intenzio­ne non era certo quella di farlo cade­re: «È l’occasione giusta far vedere a Berlusconi che senza i nostri voti non va da nessuna parte», spiegava ai suoi Italo Bocchino, che si è dato un gran da fare per convincere gli esponenti di Fli che nicchiavano a vo­tare l’emendamento pro-migranti, firmato dal radicale (ora Pd) Mecac­ci e sponsorizzato dal radicale (ora finiano) Della Vedova. «Praticamen­te un’operazione targata Pannella», se la rideva il radicale (ora Pd) Gia­chetti. I finiani ieri si son limitati a fa­re «la mossa», dimostrando plateal­mente che - se volessero - potrebbe­ro staccare la spina al governo, crean­do la famosa «maggioranza alternati­va » assieme alle attuali opposizioni.

Nel frattempo però hanno «congela­to» il ritiro dei ministri, in attesa del fatidico incontro tra Fini e Bossi per «trattare» su possibili ricuciture del­la maggioranza (cui nessuno crede). E hanno annunciato che non vote­ranno nessuna mozione di sfiducia come quella preannunciata dal Pd contro il ministro Bondi. «Sembrano quei democristiani che davano le fin­te dimissioni nelle mani del segreta­rio del partito e poi restavano lì tran­quilli », nota uno che se ne intende come l’ex Dc (ora Pd) Meduri, «solo che così la loro base non ci capisce più niente». Cosa possa uscire dall’incontro Bossi-Fini non è chiaro: ieri dal Pdl ci si preoccupava di chiarire che non c’è nessun mandato da «mediatore» al capo della Lega, e che l’ipotesi di un Berlusconi bis con l’ingresso del­l’Udc non è neanche presa in consi­derazione dal premier.

Il quale si è convinto che il celebre «governo tec­nico » o di transizione sia un rischio molto meno pressante di quanto si racconti. I primi a non crederci più sono proprio i suoi più accesi fautori: «Dobbiamo continuare a dirlo, ma mi pare manchino le condizioni», confida D’Alema ai suoi. Spiega il Pd Bressa, che fa parte del gruppo di la­voro sulla legge elettorale con Fli e Udc: «Napolitano non consentirà mai un governo solo per fare la rifor­ma elettorale.

E comunque anche su quello l’unico punto d’accordo è l’abolizione del premio di maggio­ranza: oltre non si riesce ad andare». Conclude Castagnetti: «Il governissi­mo si farà, come no. Ma solo dopo le elezioni anticipate di primavera».

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