Aumentano i prigionieri politici a Cuba

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Fidel non ha capito niente. Non si è accorto di niente. Oppure se ne è accorto e ne ha tratto le deduzioni più ciniche e più sbagliate. È girato un momentino il vento nell’America Latina. Alcuni Paesi si stanno di nuovo spostando a sinistra, in un moto confuso di delusione e di protesta. Hanno dei leader bizzarri come il venezuelano Chavez o, più fresco e pittoresco ancora, il boliviano Evo Morales. Che sono stati eletti sotto la spinta di una rabbia generalizzata e non hanno programmi né idee né punti di riferimento. E allora, nella fretta raffazzonata, hanno ritirato fuori lui, Castro.
Lo esaltano in discorsi dissennati più ancora che febbrili, vanno a trovarlo, lo riveriscono. Morales è andato all’Avana addirittura da pellegrino, ma perfino un presidente conservatore, il colombiano Uribe, ha scelto Cuba come «terreno neutro» per avviare le trattative di pace, o almeno d’armistizio, con i capi della guerriglia maoista.
È un’occasione per Fidel: se non per tirare su Cuba dalle rovine della sua dittatura quarantennale, se non per rinnegare il suo «modello» economico, che è quello della povertà assoluta, almeno per «rifarsi la faccia» su un tema che dovrebbe costare meno, quello della persecuzione degli avversari politici, dei diritti civili.
Invece Castro fa tutto il contrario: da quando, per un rigurgito surreale della storia, qualcuno si è ricordato della sua esistenza o ha addirittura ricominciato a fargli la corte, lui ha stretto ulteriormente la vite della repressione. Lo denuncia la statistica, dolorosa ma asettica, che tiene una delle organizzazioni della dissidenza cubana, la Commissione per i Diritti Umani e la Riconciliazione Nazionale. Sei mesi fa i prigionieri politici all’Avana erano 306. Oggi, dopo il rifiorire di simpatie castriste dell’America Latina, il numero dei detenuti è salito a 333. «Un incremento netto di quasi il 10 per cento - spiegano, più accorati ancora che indignati, gli autori del Rapporto, Elizardo Sanchez e Carlos Menendez - che riflette il persistente e anzi accelerato aggravarsi della situazione cubana dal punto di vista dei diritti economici, politici e civili». Sono parole sobrie, non contengono appelli a rovesciare il tiranno. Ma per questo colpiscono di più, soprattutto a confronto con i toni e la sostanza dei peana di coloro che, mossi da furioso odio antiamericano e anche da una confusa voglia di cambiare qualcosa, non trovano niente di meglio che rispolverare frettolosamente, acriticamente uno dei miti più logori e schiaffeggiati dalla Storia.

Si tratta di persone che o non sanno nulla o hanno dimenticato tutto o giocano cinicamente la carta della fama residua di un regime che tutti sanno condannato e di un uomo di cui i più, nel mondo, avevano cominciato a pensare che in qualche modo fosse morto, utilizzabile pertanto come il suo compagnone Che Guevara, la cui figura è stata salvata dalla decomposizione proprio dalla morte.

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