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Australia, l’Italia scopre l’ultimo continente

Oggi è ridotta la differenza tra l’Europa e le altre zone

Elia Pagnoni

Alla scoperta dell’Oceania. Il giro del mondo azzurro all’inseguimento di tutti i continenti calcistici si conclude domani a Kaiserslautern con la sfida a un avversario inedito, l’Australia. È l’ultimo passo di un viaggio cominciato quasi cent’anni fa e che ha portato gli azzurri a sbarcare in tutti gli angoli del pianeta pallone. Così finalmente scopriamo anche il Continente Nuovissimo, una scoperta che arriva molto tardi rispetto al resto del mondo.
Andiamo alla conquista (si spera) dell’Australia solamente domani, mentre per approdare negli altri cinque continenti (considerando separati Nord e Sud America, zone geografiche lontanissime sotto il profilo calcistico) ci abbiamo messo molto meno, solo 26 anni, quelli passati tra il debutto della nostra nazionale, il 15 maggio 1910 all’Arena di Milano contro i francesi nostri vicini di casa, e il primo confronto con una nazionale asiatica, alle Olimpiadi di Berlino del ’36 contro il Giappone.
Ripercorriamo dunque questo giro del mondo azzurro. Detto del debutto europeo, il faccia a faccia con il calcio africano arriva ancora in un torneo olimpico, quello di Anversa del 1920. Si gioca a Gand, perché si tratta ancora di un turno di qualificazione al tabellone principale dei Giochi, e l’avversario è l’Egitto: gli africani dovrebbero essere lontani anni luce dal calcio europeo, ma sul campo si scopre che non è così. L’Italia è allenata da Giuseppe Milano e in campo il leader è Renzo De Vecchi, genoano, detto il «Figlio di Dio». Segna Baloncieri, pareggia tale Daki Osman e gli africani ci inchiodano sull’1-1 fino al 57’, quando risolve un altro genoano, Brezzi. Si capisce subito, insomma, che il calcio del continente nero non ha l’anello al naso.
Ben altra attesa circonda il primo confronto con una nazionale sudamericana: lo scenario è ancora quello olimpico e l’avversario è la squadra più forte al mondo in quel momento, l’Uruguay che due anni dopo avrebbe vinto il primo mondiale. Anche la formazione è quasi la stessa e ai Giochi di Amsterdam l’affrontiamo in semifinale. Pure l’Italia comunque si affida a molti azzurri che saranno campioni nel ’34, da Combi a Rosetta, da Caligaris a Schiavio, affiancati da Bernardini e Janni, da Baloncieri e Levratto. Azzurri subito in gol proprio con il granata Baloncieri, ma gli uruguayani si scatenano: Cea, Campolo, Scarone e in un quarto d’ora siamo sotto 3-1. Sembra finita, ma nella ripresa Felice Levratto, il bomber che sfondava le reti, segna il 3-2 e per l’Uruguay comincia il tormento finale: l’Italia assedia la porta di Mazali, ma Josè Andrade, la maravilla negra, è un gigante nella sua area e la Celeste va in finale.
Gli Usa ai mondiali del ’34 e il Giappone ai Giochi del ’36 sono le scoperte relativamente più recenti. Ma questa volta si tratta di pure formalità: 7-1 agli americani (con una tripletta di Angiolino Schiavio) e addirittura 8-0 ai malcapitati samurai del pallone (con due triplette di Frossi e Biagi). Nel calcio degli anni Trenta le distanze dall’Europa sono ancora abissali.

Oggi invece l’Australia è dietro l’angolo.

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