Roma Dagli schermi di «Porta a Porta» Italo Bocchino detta l’ultimatum, ma dentro Futuro e libertà esplode il dissenso. Contro il capogruppo. «Berlusconi deve decidere se la risoluzione è il frutto di un vertice di maggioranza parlamentare o dell'asse Bossi-Berlusconi», dice in tv il presidente dei deputati finiani. Se dunque non si concorderà, in un «vertice di maggioranza», il documento da votare domani in Parlamento, «ci sarà un problema». I finiani si preparano dunque a non votare la risoluzione di maggioranza?
Di lì a poco un altro pasdaran di Fli, Carmelo Briguglio, ribadisce il concetto: «È necessario un vertice di maggioranza sui cinque punti programmatici da votare». In caso contrario, «ci riterremo liberi di valutare in modo autonomo» le dichiarazioni del presidente del Consiglio.
La posta in gioco è chiara, e va sotto il nome (vagamente imbarazzante) di «terza gamba»: Futuro e libertà vuole un esplicito riconoscimento politico da parte del premier: l’attestato che il neonato gruppo finiano (e il futuro partito, la cui costituzione secondo il capogruppo Bocchino è solo «questione di tempo») è a pieno titolo un nuovo soggetto all’interno della maggioranza di governo. «Non possono trattarci come paria, come componente di serie B che non viene neanche consultata», dice il viceministro Adolfo Urso. Il problema c’è, e per il momento dal fronte berlusconiano sono arrivate repliche assai spicce: «Il vertice? Superfluo», dice Osvaldo Napoli. E in assenza di quel «riconoscimento politico», per il Fli si potrebbe aprire strade diverse, dall’astensione alla rottura all’appoggio esterno. Con il rischio di un terremoto interno al gruppo.
Sul come ottenere l’obiettivo, però, il disaccordo dentro il Fli è profondo. E la linea «dura» di Bocchino, che sia pur velatamente evoca - o fa evocare da Briguglio - una «valutazione autonoma» sul voto di domani (astensione, non voto, addirittura voto contrario?), se non verrà convocato un vertice di maggioranza, non è condivisa da tutti. Anzi, il gruppo delle «colombe», di cui fa parte anche il capogruppo al Senato Viespoli, insorge apertamente, con una nota ufficiale firmata da quattro parlamentari che condanna le «esternazioni personali» e «non preventivamente discusse» con i compagni di partito. Se non è una sconfessione, è comunque il segnale della fatica che le diverse anime del Fli fanno a trovare un’intesa sulle scelte cruciali.
La linea la riaggiusta il portavoce Benedetto Della Vedova, intervistato da Radio Radicale: «nessun aut aut», ma un invito «alla ragionevolezza»: «Se ci sono tre gruppi di maggioranza, sarebbe un dispettuccio e anche un segno di debolezza presentare una mozione firmata solo da Pdl e Lega e farcela votare, oltretutto non mettendo la fiducia. Ma ce ne faremmo una ragione: è Berlusconi che si ritrova con un governicchio, invece che con una maggioranza coesa». Anche Adolfo Urso (segretario in pectore del futuro partito finiano) evita di esasperare i toni: «Il riconoscimento politico al nostro gruppo è un atto importante per il futuro della legislatura, ma non passa necessariamente per un vertice di maggioranza».
Toccherà a Fini, nelle prossime ore, dirimere la questione con i suoi.
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