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Gli autisti dell’Amt prendono in ostaggio politici e genovesi

Gli autisti dell’Amt prendono in ostaggio politici e genovesi

(...) il proprio ruolo, incapace di difendere l’interesse dei cittadini rimasti appiedati per tutto il giorno senza saperlo. Lo sciopero indetto ieri mattina per spostare l’attenzione sul rischio di fallimento delle aziende è approdato in consiglio regionale. Anzi, l’ha invaso.
Alle 11.48 centinaia di lavoratori fanno irruzione in aula con urla, fischi e con la materiale occupazione dello spazio dei consiglieri. Nel fuggi fuggi di quasi tutti i politici. In particolare quelli del centrosinistra, divisi tra gli impauriti e gli indignati nei confronti del presidente Rosario Monteleone che permette l’invasione. Dopo tante irruzioni a interrompere i lavori diventate ormai una consuetudine, stavolta le centinaia di lavoratori infuriati fanno davvero paura. Anche perché pochi poliziotti controllano solo che la situazione non degeneri e i commessi che provano a far da scudo ai banchi della presidenza vengono presi a spintoni e rischiano il linciaggio.
Tranvieri seduti sulle poltrone Frau da mille euro l’una (rivalutazione Istat dal 2006 esclusa), autisti accovacciati in mezzo all’emiciclo, sindacalisti aggrappati alla balaustra in vetro la cui tenuta diventa in breve tempo la barzelletta del giorno. Più che di protesta si tratta di un sequestro a domicilio. Il riscatto chiesto è l’incontro immediato con Ermanno Martinetto, presidente di Amt, e con i tre vertici di Regione, Provincia e Regione. «Non ce ne andiamo di qui finché non vengono», chiariscono subito i lavoratori. E subito il loro diktat è accolto. Monteleone prova a «offrire» un incontro per pochi intimi nell’ufficio di Burlando, ma è costretto a battere in ritirata: «Adesso dici a Claudio che scenda dalla sua reggia e venga qui... ora sei autorizzato a usare il telefono», è l’ordine perentorio. Marylin Fusco, la vice presidente («E questa chi è?», si domandano molti operai), assicura che il governatore ubbidirà scendendo a breve. Idem per la «convocazione» di Vincenzi, Repetto e Martinetto.
Davanti ai rappresentanti istituzionali viene rinnovato l’imperativo: «Subito un tavolo per risolvere la situazione a breve, oppure, come abbiamo già detto, lo sciopero alle 14,30 prosegue». Nessuno, neppure chi ha fatto il ministro dei trasporti, osa far presente che nel settore del trasporto pubblico uno sciopero non si può annunciare o anche prorogare senza il preavviso di legge. Gli autoferrotranvieri hanno ormai occupato gli spazi della politica, in tutti i sensi. E la politica mostra tutta la sua debolezza.
Marta Vincenzi ne approfitta per fare propaganda elettorale. Dà ragione ai lavoratori su tutta la linea, come se lei non fosse la sindaco. E strappa qualche applauso. Ci provano anche gli altri ma non sono altrettanto convincenti. Rosario Monteleone prova ad arrivare a una soluzione, ma non trova le parole giuste: «Siccome è l’una...». Non finisce la frase che viene presa come un invito a smetterla perché è l’ora di pranzo. Poi spiega: «Era per dire che si avvicina il termine delle 14.30». Tutti si dicono pronti a firmare per il tavolo. Che è una di quelle cose che in Regione non si negano a nessuno. Se fossero stati fatti tutti quelli approvati all’unanimità, ce ne sarebbe già abbastanza per fare concorrenza all’Ikea. Ma quando sembra che si possa trovare la «pace», quando una delegazione sindacale va per firmare l’accordo della tregua, Burlando ammette la realtà dei fatti, quella che le parole della sindaca barricadera avevano nascosto: «I soldi per salvare i bus non ci sono». Quei soldi che, anche secondo il Pdl, erano l’unica cosa da cercare, anziché «i tavoli di crisi che da sempre pensiamo servano solo a Burlando e alla Vincenzi per prendere tempo ed allungare il brodo». Quando la realtà emerge in tutta la sua chiarezza, riesplode la rabbia dei lavoratori. Ancor più inferociti per la presa in giro durata ore da parte dei politici che cercavano solo di uscire dall’aula in cui erano tenuti in ostaggio. Dopo un’ora di inutili discussioni, la svolta. Quella che mette in ginocchio la città. Con i genovesi fermi davanti alle paline elettroniche che annunciano lo sciopero ancora in corso.
L’assedio si sposta davanti alla prefettura, che non pensa neppure per un istante a ordinare la precettazione degli autisti e il rispetto delle leggi a tutela dei cittadini. Anzi, sotto la finestra del prefetto va in scena un nuovo rumoroso carosello. Un Volabus in servizio, con passeggeri e relativi bagagli, viene fermato in piazza Corvetto. Un girotondo a piedi scandito da fischietti, tamburi e urla, blocca il cuore della città, convinta di risalire sui bus alle 14.30.

E invece costretta a tornare a casa, con forte ritardo, a piedi. E oggi rischia il bis. Perché la politica non è stata più neppure capace di salvarsi con le promesse. E si è arresa su tutta la linea, dopo aver portato il trasporto pubblico locale sul letto di morte.

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