Non sono disinvolti come i loro colleghi inglesi, ma anche i parlamentari americani dimostrano di saper destreggiarsi piuttosto bene con le note spese. Tutto legale, tutto alla luce del sole. Esiste persino un pool di funzionari incaricato di controllare che non si verifichino abusi e addirittura di negare il rimborso. La legge è chiara: contrariamente a quanto avviene in Gran Bretagna, deputati e senatori non possono scaricare le spese personali, bensì solo quelle «ufficiali e di rappresentanza», che ogni semestre vengono dettagliate in un faldone composto da oltre 3mila pagine. Chi lo ha letto sostiene che è ineccepibile. Peccato, però, che non sia pubblico. Se un semplice cittadino chiede di consultarlo, il Congresso ha la facoltà di rispondere di no. E senza fornire spiegazioni. La trasparenza, insomma, è discrezionale. Cosa loro.
Sì, anche l’America ha la sua casta. E dunque le sue furbizie, le sue miserie. Senza distinzioni politiche, perché in certi frangenti il colore della casacca non conta. Sono tutti solidali e comprensivi, come ha potuto dimostrare il Wall Street Journal, che ha mandato due cronisti nell’ufficio dei controllori. Già, perché nell’era dell’informatica, quei documenti non sono disponibili in versione elettronica. Bisogna andare in loco, muniti di carta, penna e tanta pazienza. Due cronisti hanno bussato a quell’ufficio e, in un’epoca di presunta moralizzazione della vita pubblica, il Parlamento non ha osato respingerli.
Così oggi l’America sa che un deputato della Florida, Alcee Hasting, ha speso nel 2008 quasi 25mila dollari per il leasing annuale di un auto di gran lusso, la Lexus hybrid sedan e che nel 2004 si fece accompagnare in Belgio dalla sua assistente Vanessa, sborsando 18mila dollari per un viaggio di tre giorni. Michael Turner, repubblicano dell’Ohio, si è offerto una videocamera digitale da 1.400 dollari, mentre a Eni Faleomavaega, ridente e gioioso rappresentante delle American Samoa, deve piacere assai la televisione, visto che in poche settimane ha acquistato ben due schermi piatti giganti da quasi duemila dollari l’uno.
La maggior parte dei rimborsi riguarda biglietti aerei e di taxi o le diarie versate agli assistenti e dunque difficilmente contestabili. Ma le somme attribuite dal Congresso devono essere superiori alle necessità o forse i parlamentari hanno imparato a risparmiare sugli stipendi dei collaboratori, se ogni anno riescono a trovare i fondi per le compere più fantasiose, che, non a caso, si concentrano nell’ultimo trimestre.
Così, mentre alla fine dell’anno scorso l’America sprofondava nella crisi finanziaria, Howard Berman investiva 84mila dollari per farsi stampare un calendario personalizzato da distribuire nel collegio elettorale, mentre cento legislatori firmavano contratti per usare in leasing vetture di lusso o fuoristrada; di produzione americana, naturalmente e poco inquinanti. Perché anche l’abuso deve essere ecologicamente corretto. C’è chi è riuscito a spendere 22 dollari per un portacellulare firmato e chi si è fatto onore fino all’ultimo, come William Jefferson, un progressista della Louisiana indagato per truffa e sconfitto alle elezioni, che ha sborsato 2.700 dollari per l’acquisto di un computer portatile e li ha scaricati sul contribuente due giorni prima di abbandonare il Congresso.
Comportamenti disdicevoli, eppur tutt’altro che occasionali. Con qualche eccezione.
Il presidente della Camera dei deputati, Nancy Pelosi, ha chiuso con un avanzo di 57mila dollari, il capogruppo dei repubblicani John Boener addirittura di 228mila dollari. Tentano di dare l’esempio. Inutilmente.http://blog.ilgiornale.it/foa
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