Auto Usa, il piano di 14 miliardi allungherà l’agonia fino a marzo

Alla Camera il voto è imminente, poi toccherà al Senato, entro la settimana, esprimersi sul finanziamento di 14 miliardi di dollari che lo Stato Usa ha deciso di concedere a General Motors, Chrysler e Ford, che però ha fatto sapere di essere nelle condizioni di evitare il contributo. Ieri il testo del pacchetto di aiuti, condiviso dalla Casa Bianca e dai leader democratici del Congresso, è stato messo a disposizione per il voto. A complicare però la situazione potrebbe essere un gruppo di senatori repubblicani, appoggiato da un «dissidente» della componente democratica, che continuano a opporsi. «Se alla Camera tutto dovrebbe filare liscio - dice al Giornale un osservatore - al Senato si preannuncia battaglia». La bozza finale del provvedimento metterà di fronte le tre case a due possibilità: la ristrutturazione (le ex Big Three dovranno presentare i rispettivi progetti di rilancio entro il 31 marzo 2009) o la bancarotta. Sicura, inoltre, è la nomina di un supervisore che, oltre a sovrintedere la ristrutturazione del settore, avrà il potere di raccomandare l’avvio di una procedura di bancarotta nel caso i progetti di salvataggio fossero giudicati insufficienti. A ricoprire questo incarico potrebbe essere l’ex presidente della Fed, Paul Volcker, il quale potrà anche decidere di destinare le fabbriche di auto alla produzione di treni o metropolitane. In cambio del finanziamento il governo riceverà dei warrant per potere ottenere azioni senza diritto di voto o titoli «preferred» per le società quotate. Nel caso di Chrysler, non presente a Wall Street, Washington avrà un corrispettivo economico ai warrant nella società di private equity Cerberus. E proprio Chrysler, secondo l’analista americano Michael Robinet, che ha parlato ieri durante un evento a Detroit, sarebbe destinata a soccombere.
«La verità - aggiunge l’osservatore - è che i 14 miliardi chiuderanno solo una falla e permetteranno ai gruppi di arrivare, al massimo, fino a marzo. Ecco perché le tre case stanno preparando il cosiddetto piano B nel quale potrebbe rientrare la fusione tra Gm e Chrysler». Il reale fabbisogno delle ex Big Three ammonta ad almeno 125 miliardi di dollari, cifra ben lontana anche dalla richiesta di 34 miliardi portata avanti nelle scorse settimane. Intanto, mentre a Washington si attende il via libera al prestito di 14 miliardi, negli Usa la crisi sta impattando pesantemente sul settore distributivo: i 20mila concessionari sparsi nel territorio che danno lavoro a 1,1 milioni di persone e garantiscono un business di tutto rispetto (ricavi per oltre 690 miliardi di dollari nel 2007). A soffrire sono anche i fornitori e a rischio, nei prossimi due anni, sono 100mila posti. Il piano di salvataggio sul settore dell’auto a cui sta lavorando la squadra del presidente eletto Barack Obama ha comunque convinto gli investitori che, da Tokio all’Europa (bene ancora Fiat: +2,49% a 5,77 euro, grazie anche alla scommessa del mercato sulla «grande alleanza» fatta balenare dall’ad Sergio Marchionne e confermata dall’azionista John Elkann), hanno premiato i titoli dei vari produttori di automobili. Giornata a due marce per Wall Street che, dopo un ottimo avvio, ha bruscamente frenato in serata per l’emergere di nuovi contrasti politici sul finanziamento alle Big Three.


Il premier Silvio Berlusconi, nel frattempo, ha ribadito - a proposito del tema rottamazioni - che il governo non ha mani «esaminato un provvedimento particolare per un particolare settore». Mano pesante, infine, del presidente Nicolas Sarkozy sui produttori francesi che decideranno di spostare le produzioni all’estero: «Non avranno un centesimo dallo Stato», ha affermato il capo dell’Eliseo.

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