«Gli autonomi da 20 anni ci occupano casa»

Nel Giorno della Memoria ebrei e non ebrei si ritrovano con la preoccupazione che la lontananza dagli avvenimenti della Shoah possa rendere sempre più labile il ricordo e che la progressiva scomparsa dei testimoni faccia venire meno il monito morale di quella tragedia.
Il problema più complesso nei nostri tempi e su cui la riflessione è spesso carente è di tipo diverso: cosa ricordare e come ricordare? Possiamo infatti fare decine di commemorazioni, ma poi sentire un vuoto accorgendoci di seminare soltanto retorica e parole al vento e di svolgere un rito che ci esime da una responsabilità. La memoria come alibi per la propria coscienza è la cosa peggiore. Sì, perché la memoria senza una scelta e una responsabilità ci fa sentire anime candide e mette a posto la nostra coscienza facendoci credere stupidamente che siamo migliori e che di fronte a quelle circostanze saremmo stati capaci di agire diversamente.
Per questo, oggi, l’associazione per il Giardino dei Giusti, con in prima fila il sindaco, Letizia Moratti, e il presidente del Consiglio di Milano, Manfredi Palmeri, vuole ricordare tre figure come Marek Edelman, Vasilij Grossman e Guelfo Zamboni perché ognuno di loro tocca un tema che ci può aiutare ad affrontare questo enigma.
Marek Edelman aveva un posto sicuro nella storia. È stato il vicecomandante della rivolta del Ghetto di Varsavia. Avrebbe potuto diventare un’icona dell’ebraismo.

Hollywood avrebbe prodotto un film sulle sue gesta, Israele gli avrebbe dedicato una piazza in ogni città e lo avrebbe reso ambasciatore della resistenza indomabile degli ebrei contro gli antisemiti. Edelman non ha però scelto la strada dell’eroe popolare. Non è stato un sionista, ha deciso di rimanere in Polonia e di fare il custode della memoria in un Paese che era stato (...)

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