Cultura e Spettacoli

Autori in libreria Io scrivo, tu leggi egli acquista

Ma dove comprano i libri gli scrittori? Mozzi e Scaraffia nei megastore, Nori in edicola, Cilento e Galateria sulle bancarelle...

Dove comprano i libri coloro che i libri li scrivono? Nelle piccole librerie raffinate, tanto apprezzate a parole quanto deserte nei fatti, o nelle grandi superfici, anonime e affollate, come Feltrinelli e Fnac? Alla base di questa domanda c’è pressappoco l’idea del «dimmi dove compri i libri e ti dirò chi sei». Un nutrito gruppo di autori ha risposto con diligenza, cominciando col dire che spesso i libri non li comprano, accidenti. Molti scrittori sono anche recensori e come tali vengono seppelliti dagli invii gratuiti delle case editrici.
C’è chi di fronte a questa montagna di carta viene colto da una crisi di apatia (Giulio Mozzi: «La maggior parte dei libri che ricevo in omaggio non mi interessano») o perfino di disprezzo (Alessandro Piperno: «Preferisco comprarli. Ho l’idea forse un po’ filistea che se un libro non lo paghi tendi a considerarlo meno importante»). C’è chi invece in questo metodo trova la sua bella convenienza (Emanuele Trevi: «Non compro quasi mai libri nuovi perché me li mandano tutti. Ne rivendo il novanta per cento»). Omaggi a parte, al momento dell’acquisto gli scrittori si dividono in due fazioni: i Catenisti, sedotti dalle modernità seriali delle Feltrinelli, e gli Indipendentisti, sostenitori delle piccole librerie che non fanno parte di catene.
Ed ecco la prima scoperta: nonostante frequentare una libreria-bomboniera sia teoricamente molto chic, gli Indipendentisti sono in minoranza fra gli autori esattamente come fra i comuni lettori. Il che, tra l’altro, fa cadere l’ipotesi torre d’avorio. Indipendentista convinto è solo Edoardo Nesi: «Nelle grandi librerie faccio fatica a orientarmi. Compro i libri sempre nelle stesse piccole librerie, una a Prato e una a Forte dei Marmi, perché raggruppano i libri per casa editrice, criterio per me fondamentale». In mezzo a queste virgolette c’è tutto Nesi, industriale tessile prima che romanziere, uomo che tiene alla qualità della vita almeno quanto a quella della letteratura. Trevi è un Indipendentista solo potenziale. Se i libri li comprasse (invece di venderli) lo farebbe alla «Fahrenheit» di Campo de’ Fiori, «una libreria ben curata come ormai è molto difficile trovare». Romano come Trevi e amico di Trevi, Piperno ha gusti diversi. La rivelazione dell’estate 2005 compra da Feltrinelli perché ama gli ambienti asettici e non vuole correre il rischio di essere molestato da librai saccenti. «Mi consola sapere che i miei interlocutori hanno competenze bibliografiche assai più modeste delle mie».
Anche Giuseppe Scaraffia è un feltrinellista: «Mi piace gironzolare a lungo tra i libri, aprirli, guardarli... Più ce n’è e meglio è». Ci dev’essere un qualche significato recondito nel fatto che i massimi estimatori delle megalibrerie siano due autori sofisticati: Piperno e Scaraffia passano per dandy, sono due proustologi quasi proustiani che gli abiti, tanto per dire, non li comprano certo da Zara o Benetton. Forse il loro è uno snobismo al contrario, qualcosa di simile a ciò che muove certe ricche signore che vanno a frugare nelle bancarelle dei mercatini.
Ecco, appunto le bancarelle, canale distributivo in apparenza residuale ma che i professionisti del libro tengono in gran conto. Assidue bancarelliste sono Antonella Cilento, che a Napoli frequenta i rivenditori di Port’Alba, e Daria Galateria, che in quanto francesista va dai bouquinistes lungo la Senna. Sono acquisti romantici, legati al caso: sulle bancarelle non si compra ciò che si cerca ma ciò che si trova. Cliente remainder è anche Giulio Mozzi, che segnala due indirizzi ben conosciuti dagli appassionati: galleria Vittorio Emanuele a Milano e piazza San Silvestro a Roma.
Tornando alle grandi superfici, non tutte le catene sono uguali (o almeno tali non sembrano nella percezione degli acquirenti). Gaetano Cappelli frequenta una libreria Mondadori ma evita le Feltrinelli perché «sono l’immagine stessa della sinistra nel nostro Paese. Snob e ingestibili. Hanno una scarsissima attenzione per le realtà davvero creative delle piccole case editrici e praticano prezzi da capogiro: mai preso qualcosa ai loro bar?». Giuseppe Conte non entra in una Feltrinelli da trent’anni: «Forse sbaglio ma le vedo come librerie per Jovanotti». In compenso fa acquisti alla Fnac delle Halles, a Parigi, giudicata la migliore di tutta la catena, che è presente anche in Italia «ma potendo scegliere preferisco servirmi in Francia dove le librerie così come le biblioteche sono luoghi allegri».
Giuseppe Montesano compera da Guida, catena campana che sembra sollecitare il patriottismo partenopeo, ma forse è soltanto una questione di comodità come per Camilla Baresani che non è interessata a nome o dimensione della libreria ma alla sua vicinanza rispetto alla propria casa: «Così non sfacchino tirandomi dietro pesi per chilometri». Mauro Corona non è una bella signora pigra ma abitando in un paese sperduto della montagna friulana anche per lui la distanza è fondamentale, con la differenza che in questo caso la libreria più vicina è a 35 chilometri. Ogni sabato Corona si mette in marcia per raggiungere Pordenone e il suo libraio di fiducia, Mauro Danelli, che anche se indipendente (o forse proprio perché indipendente) è capace di scovare titoli introvabili. Chi abita in località remote è il cliente ideale di Ibs, fornitissimo sito internet (www.internetbookshop.it), se non fosse che Corona non va molto d’accordo con le ultime tecnologie e piuttosto che digitare al computer preferisce maneggiare asce e sgorbie per dare vita alle sue sculture in legno.
Mozzi si serve di Ibs quando vuole mandare un libro in regalo: «È più economico che acquistarlo in libreria e spedirlo». Scaraffia lo usa per i propri studi «perché ormai le librerie sono diventate delle edicole di lungo corso, nel senso che tengono i libri al massimo per qualche mese. Mentre a me servono libri anche di vent’anni fa».
«Dimmi dove compri i libri e ti dirò chi sei», si era detto all’inizio. Bene, si è appurato che gli scrittori italiani sono persone parsimoniose che non disprezzano affatto le promozioni. Non solo il pauperista Paolo Nori, precipitatosi in edicola per il «Meridiano» di Hemingway a 1 euro, anche i lussuosisti Nesi e Piperno non si sono lasciati sfuggire l’occasione. Scaraffia si rammarica di aver perso Hemingway perché quella settimana era in Grecia ma si sta rifacendo con il resto della collezione. In Italia a non approfittare dei «Meridiani» a prezzi plebei sembrano essere rimasti solo Isabella Santacroce e Aurelio Picca, due estremisti dell’ineffabile. «I “Meridiani” cosa sono?» ha risposto lei. «Libri non ne compro» ha risposto lui. Come come? Indagando a fondo si scopre l’arcano: Picca, che mena vita principesca, i libri non li compera personalmente ma ogni tanto compila una lista di titoli e la consegna a qualche volenteroso, o meglio volenterosa, che va a comprarli per conto suo.

Feltrinelli o Mondadori? Librerie grandi o piccole? Picca non lo sa, non si cura di questi volgari dettagli commerciali, lui si interessa soltanto di letteratura.

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