Autostrade, Di Pietro gela la fusione spagnola

L’Anas incaricata di stabilire se sia necessario rifare una nuova concessione

Gian Maria De Francesco

da Roma

La fusione tra Autostrade e Abertis presenta «violazioni inaccettabili degli accordi presi con la Convenzione con l’Anas». Il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, ieri ha opposto un parere sostanzialmente negativo al progetto di integrazione italo-spagnola tra i due concessionari autostradali. Parere esplicitato nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente dell’Anas, Vincenzo Pozzi, che ha sottoposto al ministro i primi risultati dell’istruttoria avviata dalla commissione della quale fanno parte Guido Rossi, Andrea Monorchio e Luigi Cappugi. «Se non saranno apportate modifiche sostanziali, la società sia pronta ad accettare le conseguenze alle quali potrebbe andare incontro».
Di Pietro ha esplicitato chiaramente la necessità di modificare la concessione della società guidata da Gian Maria Gros-Pietro se l’aggregazione dovesse seguire i binari già prefissati. «Ho dato incarico all’Anas - ha aggiunto - di verificare se alla fine dell’operazione non si renda necessaria una novazione della concessione, viste le profonde modifiche in capo al soggetto concessionario». Le conclusioni della commissione Anas, secondo quanto è trapelato dalle parole del neoministro, hanno accolto le riserve sollevate dall’ex ad di Autostrade Vito Gamberale nell’ultimo consiglio di amministrazione al quale ha partecipato e ricostruite dal Giornale. Circostanze che ieri Gros-Pietro ha ricostruito per 5 ore dinanzi al pm romano Perla Lori. Il magistrato ha incaricato la Guardia di Finanza di indagare su eventuali movimenti anomali del titolo (ieri +0,18%) nei giorni precedenti l’annuncio della fusione.
In primo luogo, la presenza della società di costruzioni iberica Acs nella nuova entità violerebbe le prescrizioni del bando di privatizzazione di Autostrade nel 1997 nel quale si formulava esplicito divieto ai costruttori di entrare nel capitale della società. «Se noi non impugnassimo tali aspetti - ha detto Di Pietro - saremmo chiamati a risponderne dalle stesse imprese che all’epoca sono state escluse». In secondo luogo, vi è l’aspetto del governo della nuova Abertis. Acs, La Caixa e le altre Casse di risparmio spagnole deterranno complessivamente il 29,8% a fronte del 24,9% di Schema 28 che fa capo per il 60% alla famiglia Benetton. Considerato che il gruppo avrà sede in Spagna, la normativa iberica consentirà ai soci locali di superare la parità iniziale con i rappresentanti italiani in cda (11 a 11) e in capo a tre anni di esprimere un’effettiva maggioranza.
Tale stato di cose potrebbe riverberarsi anche sulla garanzia di effettuazione degli investimenti previsti in Italia e quindi richiedere un surplus di assicurazioni. Allo stesso modo, Di Pietro ha sottolineato la necessità di una comunicazione preventiva dei patti parasociali che saranno stipulati tra gli azionisti della nuova Abertis a tutela del «regime di monopolio in cui opera il concessionario». Su entrambe queste due annotazioni nei giorni scorsi il presidente di Autostrade, Gian Maria Gros Pietro, si è speso più volte ricordando l’impegno nell’assolvere agli oltre 11 miliardi di investimenti preventivati, mentre già lo scorso 4 maggio Schema 28 ha reso noto di aver stretto un accordo sul capitale di Abertis con Acs e La Caixa, un patto per la stabilizzazione dell’azionariato che avrà efficacia solo dopo la fusione.
E di tutto questo il titolare delle Infrastrutture ha tenuto conto ricordando che «Autostrade si è messa a disposizione per fornire chiarimenti e informazioni». Anzi, ha specificato che «stiamo dialogando su un regolamento preventivo per evitare che ci sia un conflitto» e che «non è necessario uno slittamento dei tempi» per la convocazione delle assemblee che dovranno approvare l’integrazione.

Di Pietro ha pure precisato che «il governo non intende bloccare il progetto per interessi meramente campanilistici» ricordando la vocazione europeista di Prodi. Le parole «stop» e «revoca della concessione» non sono state pronunciate. Ma Cgil, Cisl e Uil sono tornate all’attacco chiedendo al governo di bloccare tutta l’operazione.

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