RomaA lui non frega niente della sua Bologna, così comè ridotta adesso, grassa di sprechi in conto ai cittadini e dotta nei vari modi per gonfiare le spese pubbliche. E neppure gli attori più scafati fregano lui, però, quando si tratta di metterci lanima, non soltanto la faccia, davanti alla cinepresa. È l«Avatis touch», quel punto di amaro e mezzo di dolce che stavolta crea Il figlio più piccolo (dal 19 nelle sale), malinconica commedia allitaliana, terribilmente attuale nel suo allineamento di mascalzoni e farabutti, dentro allalbum frusto di questa Italia. Dove un padre imprenditore, Luciano Baietti (definito «bella merda» dai suoi collaboratori e tocca al bravissimo Christian De Sica, al suo primo ruolo drammatico), coinvolge il proprio ingenuo figlio minore (lesordiente Nicola Nocella: una rivelazione) nelloperazione indecente di trasferire alla sua mattocchia creatura 56 milioni di euro di debiti, per evitare larresto. «Viva papà!», avevano gridato i due bambini del commendatore infame al tardivo matrimonio fasullo di lui con la loro madre «scemina» (Laura Morante, che avanzando in età, accresce talento e bellezza), impalmata unicamente per sottrarle i beni. Ma è un aspirante missionario (Luca Zingaretti), dunque un uomo di fede, la vera anima nera del simil-Ricucci, o simil-qualsiasi altra contemporanea figura senza scrupoli. Si tratta del professor Bollino, lesto a inventare scatole vuote e bilanci truccati, giocando con attivi e passivi come con la vita degli altri. «Una mossa esige una contromossa» è il suo credo, mentre si aggira in sandali da francescano per limmensa proprietà duna holding decotta. Ma niente da fare: in nome del popolo italiano, il furbetto del quartierino andrà in galera e i suoi fedelissimi allo sbando.
«È il mio terzo film, che si occupa della figura paterna», esordisce Avati, tenendo stretta la mano di Nocella, allievo di Giancarlo Giannini al Centro sperimentale di cinematografia. «E questo terzo padre è il più indecente, il più infame, anche se il mio non è cinema di denuncia. È il presente che è diventato indecente, persino per un moderato come me. Cerco di ricandidare linnocenza, anche la più cogliona e disarmante», spiega l'autore bolognese, che ha scritto la sceneggiatura de Il figlio più piccolo, traendola dallomonimo suo romanzo (Garzanti). Anche se ostenta disinteresse (politico) per la sua Bologna, dove ieri Pupi ha consumato il solito rito scaramantico di lancio (proiezione al Capitol e, dopo, tortellini per la troupe), lodioamata città, con le sue torri rosse e i vicoli zeppi di biciclette, fa da contrappunto a Roma potentona, col Cupolone a benedire ogni illecito. Cavalcare lingenuità, «per resettare il mondo» e «buttare allaria la gerarchia dei nostri valori»? Sarebbe splendido. Senonché i cattivi sono più interessanti, in barba a tutti i Nick Novecento, i Pecorino e, insomma, ai simpatici perdenti emersi dal «tocco di Avati», esercitato in oltre quaranta film. Non a caso è «il commissario Montalbano» in versione loffia a emergere nel film dove Zingaretti cesella il suo commercialista-squalo in antitesi netta al troppo esposto De Sica-Baietti (che, però, esce di galera con in mano un panettone, regalatogli dal direttore del carcere e lui, lattore, sottolinea quanto sia simbolico...). «Il mio Jago muove i fili di questa vicenda dingordigia e di soldi bruciati. È lui che scrive i discorsi e inonda di consigli perfidi il suo cliente, limmobiliarista sullorlo del fallimento. La cosa più grave è che questa gente non è immorale, semmai è amorale: può accoltellarti o chiederti una sigaretta con uguale disinvoltura. Nove volte su dieci i caratteri dei cattivi sono più interessanti, perché più sfaccettati», commenta Zingaretti, che sappresta a passare dallaltra parte della cinepresa. L'attore,infatti, sta scrivendo la sceneggiatura di Secondo di bordo, garbata vicenda contemporanea, che segna il suo esordio da regista. «Si tratta dun film sui bambini, interamente recitato dai bambini.
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