«Avevo paura di non essere una buona madre»

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Andrea Acquarone

Il disordine «ordinato» di Mary. Come in quella cascina di Casatenovo - parola del comandante del Ris Luciano Garofano - «messa sì a soqquadro ma troppo ordinata» perché fosse opera di un fantomatico ladro assassino. E come nell’esistenza di Maria Patrizio, anzi nelle vite che la mente sconvolta di questa panettiera ventinovenne conduceva parallelamente. Fino a due settimane fa, sempre in modo «ordinato». Le aspirazioni tramontate da starlette, la rabbia per quei chili di troppo da maternità, e il suo essere moglie tenera; le angosce e i fantasmi che le toglievano il sonno e il suo nuovo lavoro di mamma amorevole.
Da un paio di mesi si sentiva meglio, aveva smesso con le sedute di psicoterapia cominciate all’indomani del parto, sembrava tornata a sorridere. Nessuno, tra coloro che le erano accanto, avrebbe sospettato che lei, invece, stesse ancora male. «Molto male», come lei stessa ha detto l’altro ieri ai pm, per spiegare l’omicidio del suo piccolo Mirko. «Mi rivedo come in un film, effettivamente sono stata io a tenerlo con la testa sott’acqua. Quando ho visto che non si muoveva più, sono sclerata. Ho pensato alla mia famiglia, a mio marito, a cosa avrebbero pensato di me...». Ecco il motivo della macabra messinscena, della storia dello sconosciuto penetrato in casa e responsabile dell’omicidio. Ma perché annegare quel bebè così tanto desiderato? «Temevo di non farcela, avevo paura di non riuscire ad essere una buona madre». Un barlume di lucidità, Mary poi scoppia ancora a piangere e si fa più piccola di quanto non sia, tanto smagrita da pesare appena trentacinque chili. Lo sguardo di nuovo fisso, spento. E un’esclamazione che lascia i presenti attoniti: «Be’ ora basta, devo andare a casa a lavare Mirko...».
Non potrà tornare nella sua cascina in provincia di Lecco, Maria Patrizio. Almeno non subito. Ma ora che ha confessato potrà almeno uscire dal carcere di San Vittore.
Il gip di Lecco Gianmarco De Vincenzi, dopo il parere favorevole della Procura, anticipando i tempi (aveva cinque giorni per decidere) ieri ne ha disposto il ricovero nell’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Oggi o domani il trasferimento, almeno così sperano i suoi due avvocati genovesi, Fabio Maggiorelli e Carlo Rognoni.
«È una donna malata - ripetono all’unisono -, ha bisogno di cure. La prigione non è certo il luogo idoneo per lei». A giorni sarà sottoposta a perizia psichiatrica, un esame che dovrebbe valere anche come incidente probatorio. Se alla donna venisse riconosciuta l’incapacità di intendere e di volere non è detto che l’infermità sia da considerarsi «definitiva». È il caso della depressione post-partum, colpisce violenta poi si risolve.

Bisognerà stabilire, come chiariscono i suoi legali - quali fossero le condizioni psichiche della Patrizio al momento del delitto ma anche quelle attuali.
Nel suo disordine «ordinato» Maria ripete: «Senza il mio bimbo per me non c’è più ragione di esistere». E un attimo dopo, come nulla fosse, si ritrasforma: «È ora di cambiargli il pannolino».

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