Ma, secondo quotidiani, settimanali e tv, non dovevamo morire tutti (o quasi) per l'aviaria?
Mauro della Porta Raffo
Già. Si fecero stragi, ecatombe di pollame, si girò alla larga dalle uova, si lanciarono occhiate minacciose ad ogni sorta di volatili, anche alle tenere (che poi sono gli uccelli più carogna che esistano) tortore per paura che perdessero una piuma e che la piuma si depositasse su di noi, fulminandoci secchi all'istante. Le agenzie onusiane preposte alla materia pronosticarono un paio di migliaia di morti tanto per cominciare, ma quando la pandemia avesse preso vigore i morti sarebbero ammontati a centinaia e centinaia di migliaia. A milioni. Svariati milioni, volendo tenersi bassi. Le notizie che giungevano dalle più remote lande della Cina centrale facevano accapponare la pelle: scoperto un contadino affetto da febbre aviaria. Gliel'ha attaccata una papera. E giù, stragi di papere, di oche e di cigni. Anche di pavoni, ché non si sa mai. Poi il secondo, di contadini colpiti da febbre, macché febbre: da peste aviaria. Nel Bangladesh. Invece di rallegrarcene - siamo pur sempre sei miliardi sul pianeta e due su sei miliardi non fa nemmeno percentuale per la sfilza di zeri che ci devi mettere davanti - piombammo o fummo piombati nell'angoscia. Ecco, il flagello dilaga, presto si diffonderà in India giungendo alle pendici del Kyhber Pass: se scavalca quello l'Europa è fritta. Intanto, alla notizia del secondo caso le solite agenzie onusiane si videro costrette a rivedere le previsioni: i morti da aviaria sarebbero stati, uno più uno meno, qualche miliardo.
Il vaccino! Il vaccino! reclamò allora l'umanità terrorizzata. Il vaccino è pronto - fu risposto - un momento, no, non è ancora pronto, ma quasi, lo stiamo sperimentando. E l'opinione pubblica: ma quanto ci mettono, ma che modi sono questi, si va e si torna dalla luna e non sono capaci di produrre l'antidoto alla aviaria, roba da non crederci. Intanto legioni di esperti si affannavano a spiegare che in quanto pleomorfo il virus si presentava a bassa e ad alta patogenicità. C'era da rallegrarsene? Forse sì, ma più probabilmente no, ci spiegarono. Perché pleomorfo o non pleomorfo esso rimane vitale a lungo nelle feci, ben sette giorni, ma se le feci avevano una temperatura sotto gli otto gradi, anche trenta, di giorni. Si videro allora mamme che armate di termometro misuravano, nei giardinetti, la temperatura delle cacche dei piccioni. «Diciannove gradi! - si udiva esclamare - Tutto a posto!». Oppure: «Sette gradi e mezzo! Chiamate i vigili!». Il genere umano, soprattutto quello civilizzato del Primo mondo, perdette il lume della ragione, che rimase spento per qualche mese nonostante le segnalazioni di decessi o comunque di ricoveri per febbre aviaria giungessero col contagocce. Poi, d'un botto, tutto finito, tutto dimenticato: del vaccino non gliene fregò più niente a nessuno e si ricominciò a mangiare pollo arrosto, a tirare il collo a tacchini e faraone, a capponi e a galletti pseudo amburghesi.
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