Roma - Niente inciuci, avverte Antonio Di Pietro, nessuna intesa bipartisan sulle intercettazioni: «Noi non approveremo mai una legge per tappare la bocca a magistrati e giornalisti». E guai a stringere accordi con l’opposizione su altre materie sensibili, come la riforma dell’ordinamento giudiziario e il referendum sulla legge elettorale. Altrimenti, avverte, l’Idv trarrà le sue conseguenze. Dimissioni? «No, sarebbe come fare i Tafazzi». Però serve una ventata. «Per me - spiega il ministro delle Infrastrutture - l’aria è diventata molto poco respirabile. Ma chi è che l’avvelena? Non certo chi denuncia i fatti. Secondo me a immettere anidride carbonica è chi prende decisioni non nell’interesse del Paese e chi fa il tifo per determinate cordate piuttosto che altre». Non ci sono quindi «solo i furbetti del quartierino, ma anche quanti a destra e sinistra sponsorizzano questa e quella scalata».
Insomma, così non va, non può andare. Di Pietro da voce al suo malessere chiedendo una verifica nell’Unione su quattro temi: politica giudiziaria, economia, sicurezza, libertà di informazione. E avvisa: il testo sulle intercettazioni ora all’esame del Senato non va bene perché imbavaglia la stampa. Se non verrà approvato l’emendamento dell’Italia dei valori, che punta a rendere pubblicabili tutti gli atti processuali depositati e non coperti da segreto, Idv voterà contro. «Ma chi ha detto - si chiede - che se non c’è rilevanza penale un verbale non debba essere conosciuto? Gli elettori hanno il diritto di sapere come si comporta chi ha ricevuto il proprio voto, la gente deve sapere come stanno le cose».
Basta quindi con le critiche ai giudici. «Non ho visto nessuna differenza tra le parole di Silvio Berlusconi e quelle di Massimo D’Alema contro i magistrati di Milano, i quali fanno semplicemente il proprio lavoro cercando di scoprire dei reati. Gli attacchi nei loro confronti sono inaccettabili». E le intercettazioni, prosegue il ministro, sono «indispensabili per scoprire i reati», sono come «il bisturi per il chirurgo». Il problema è un altro, «è che la politica non dovrebbe proprio invischiarsi in questo modo con la finanza e l’economia».
E ancora. Nessuno pensi a cercare intese con il centrodestra sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. «Il testo che è al Senato - sostiene Di Pietro - è già il massimo di compromesso possibile, più in là non si può andare». Meglio dunque ricorrere al voto di fiducia, piuttosto che rimettere le mani su quel provvedimento. «Il governo deve mandare al più presto, se vuole la nostra presenza nella maggioranza, un segnale di forte discontinuità con l’esecutivo precedente». Dal punto di vista dell’ex pm infatti la riforma Castelli andava proprio buttata nel cestino. «Si sarebbe dovuta abrogare e basta», altro che cercare nuovi punti di contatto.
Infine, il referendum.
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