Avviso di garanzia del giudice Travaglio contro l’inciucio

Caro Granzotto, con l’anno che volge al termine voglia dire una parola di chiarezza a me e al gruppo d’amici lettori del Giornale in ambasce per via del prefigurato «inciucio». Il termine stesso invita a diffidarne e ci chiediamo se Silvio Berlusconi non si sia troppo immedesimato nel ruolo di dispensatore di bontà e pace marciando in buona fede verso un «trappolone» teso da quel furbo di tre cotte di Massimo D’Alema.
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Non è il solo, caro Bonanni, a mostrare perplessità per l’annunciato «dialogo» con l’opposizione, che avendo come obiettivo un accordo (sulle riforme, a esempio) è stato subito rubricato alla voce «inciucio». Che sta per non tanto trasparente scambio di reciproche concessioni (dette, nel caso di inciucio, «cedimenti») al fine di raggiungere un punto di vista comune sul da farsi per il governo della nazione. Tanto per capirci, la Costituzione fu il risultato di un inciucio colossale tra opposte fazioni di padri costituenti. Risultandone alla fine «la più bella del mondo», come affermato da un principe dell’inciucio, il venerabile Oscar Luigi Scalfaro. Con tale illustre precedente, è evidente che l’inciucio non presenta aspetti negativi e anzi lo si potrebbe definire quintessenza della politica (che come ognun sa è l’arte del compromesso). Ciò dovrebbe bastare a fugare i suoi sospetti, caro Bonanni, ma se ce ne fosse bisogno, disponiamo anche d’un efficace dispositivo col quale stabilire se l’inciucio del quale parliamo sia buona o cattiva cosa. Il dispositivo in questione è rappresentato dall’area ringhiosa della sinistra, i «laici», i manettari, i repubblicones, i dipietrini, i travaglini, i rosibindini, gli azionisti, i sinistroradicali, i girotondini e i gagà giacobineggianti dei salotti e degli attici «sinceramente democratici». Se costoro si mostrano contrari all’inciucio non si scappa: l’inciucio è occhei.
Serve dirlo? Sono contrari. E se un girotondone come Furio Colombo delle Folies Bergère taglia corto affermando che «inciucio vuol dire cedere», quindi fa schifo, Marco Travaglio, colui che s’è accollato il fardello di rappresentare e ispirare quella stizzosa armata Brancaleone, ci lavora su di fino. Rispolverando non solo l’acciaccato fantasma del «Dalemoni», il monstrum rappresentato da D’Alema e Berlusconi, ma tanto per far capire che nel caso di inciucio non si faranno prigionieri, si è premurato di mandare a D’Alema un avvertimento di stampo... ora non mi viene la parola... di stampo... be’, continui poi lei, caro Bonanni. Alle prime avvisaglie inciuciche, il sempre vigile Travaglio si esibì infatti in un tackle a gamba tesa ai danni di D’Alema, reo d’aver detto che c’è troppo «antiberlusconismo che sconfina in una sorta di sentimento anti italiano» (ovvio che per Travaglio l’antiberlusconismo non è mai sufficiente e gliene frega assai se è anti o filo italiano). Fin qui, routine. Ma senta come si conclude il travagliesco j’accuse: «L’esternazione di D’Alema sull’antiberlusconismo è avvenuta alla presentazione di un pregnante best-seller: A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?. Ultimamente era segnalata in quel di Bari, fra le barche, le ville e i pied à terre di Giampi Tarantini». Capito? Tarantini è quello degli intrallazzi nel giro della Sanità, quello della coca e delle escort, quello della D’Addario, quello della «bicamerale a ore», sempre per dirla con Travaglio, avendo più volte ospitato, in villa e in barca, anche Massimo D’Alema. Che dunque se non fa il bravo, questo ci pare il succo dell’avvertimento di stampo...

e dài che non mi viene la parola, ci mette niente una procura a ravanare un po’ nei faldoni e aprire un fascicolo - con relative e sempre deplorevoli, ci mancherebbe, fughe di notizie - sui rapporti fra D’Alema e l’inquisito Giampi. Le è poi venuta la parola, caro Bonanni? Avvertimento di stampo... di stampo...?

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