Avvocati, l'Ordine sospende Di Pietro

Il leader dell’Idv sospeso per illecito deontologico: da legale di un indagato per omicidio a parte civile a sostegno dell’accusa. Ha violato i "doveri di lealtà, correttezza e di fedeltà". La lettera dell'ex pm. Parla l'ex cliente abbandonato

Avvocati, l'Ordine sospende Di Pietro

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

Tre mesi di sospensione per l’avvocato Antonio Di Pietro. L’ex pm di Mani Pulite si è visto confermare dal Consiglio nazionale forense la «sanzione» del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bergamo che aveva già stigmatizzato il «doppio ruolo» ricoperto nei confronti di un amico di Montenero coinvolto in un omicidio: prima il neo avvocato ne prese le difese, poi passò tra le parti civili che sostenevano la tesi dell’accusa. Una cosa che non si fa: «La condotta del professionista - si legge nelle motivazioni della decisione - integra certamente la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e di fedeltà (articolo 5, 6, 7 del codice deontologico forense) nei confronti della parte assistita e integra altresì l’illecito deontologico». A seguito degli accertamenti svolti, e della sussistenza degli illeciti contestati, «non può che conseguire la sanzione disciplinare». Calcolata in tre mesi di sospensione dell’esercizio della funzione di avvocato in quanto «adeguata alla gravità dell’illecito compiuto».

La storia è alquanto intricata. Pasqualino Cianci, amico d’infanzia di Tonino, l’8 marzo 2002 viene trovato ferito nella sua casa di Montenero di Bisaccia accanto al corpo senza vita della moglie, Giuliana. Mentre era in ospedale, Di Pietro, accorso da Milano, ne assume la difesa. Dopodiché l’ex pm lo ospita personalmente a casa per alcuni giorni. Trascorsa una settimana il colpo di scena: Di Pietro rinuncia all’incarico non appena ha «sentore» che l’amico potrebbe finire indagato, come di lì a poco effettivamente avviene. E alla prima udienza in Corte d’assise Cianci, ormai imputato, si ritrova l’amico del cuore - quello con cui aveva diviso il seminario, le feste comandate e le ferie - dall’altra parte della barricata.

A quel punto, incredulo e un po’ meno amico di prima, Cianci presenta un esposto all’Ordine di Bergamo per infedele patrocinio. Esposto che viene accolto, in gran parte, e tradotto nella sanzione disciplinare di tre mesi. Di Pietro si difende. Sostiene di non avere mai difeso Cianci in qualità di imputato. Nega qualsiasi conflitto di interesse. Afferma d’aver ricevuto una sorta di «mandato collettivo» dalle parti civili e di aver rinunciato alla difesa dell’amico quando era ancora parte lesa. L’appello, però, gli dà torto: per 90 giorni non può fare l’avvocato. Il Consiglio nazionale scagliona cronologicamente gli eventi che inchiodano l’«avvocato Di Pietro» a un comportamento non corretto. Una condotta «che integra certamente la violazione di doveri di lealtà, correttezza e fedeltà nei confronti della parte assistita - si legge nelle motivazioni della decisione - e integra altresì l’illecito previsto dall’articolo 51 del codice deontologico forense». Una norma che fa espresso divieto al legale di «assumere incarico contro un ex cliente, in particolare quando il nuovo incarico è inerente lo stesso procedimento nel quale è stato espletato l’incarico precedente».

Il Consiglio arriva a sanzionare il Tonino nazionale ripercorrendo le sue stesse azioni: l’assunzione del mandato di difensore il giorno dell’omicidio, l’incarico di carattere medico legale conferito al consulente Armando Colagreco, l’interrogatorio - come indagini difensive - del testimone Antonio Sparvieri (consuocero di Pasqualino Cianci). Dopodiché, a sorpresa, «il 19 marzo 2002, l’avvocato Di Pietro, quale avvocato difensore dei familiari della signora D’Ascenzio, depositava agli atti del procedimento penale una memoria difensiva mediante la quale, dando atto della nomina di un nuovo difensore di Pasqualino Cianci a seguito di contestuale sua rinuncia di mandato (Cianci dice di non aver firmato alcuna revoca, ndr) dimetteva copia dell’atto di nomina del nuovo difensore e le dichiarazioni a lui rese dal testimone Sparvieri». Con lo stesso atto, osserva il Consiglio nazionale forense, Di Pietro «chiedeva che fossero acquisiti alcuni documenti specifici che si trovavano presso l’abitazione della defunta e del suo precedente assistito Pasqualino Cianci e che fossero svolte presso istituti di credito e nei confronti di privati, nuove indagini in relazione ai rapporti economici da questi intrattenuti con Pasqualino Cianci».

Qualche tempo dopo – chiosa il documento disciplinare – Pasqualino Cianci «era iscritto nel registro degli indagati e il 16 aprile 2002 tratto in arresto». In primo grado Cianci (che urla la sua innocenza) è stato condannato a 21 anni per uxoricidio.

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