Obama sembra Bush: il fronte con l’Iran sarà il primo. L’ha aperto alla prima uscita pubblica, senza aspettare neanche di arrivare alla Casa Bianca: «È inaccettabile che abbia armi nucleari e dovrà subito cessare il suo supporto a organizzazioni terroristiche». L’America non cambia e non cambierà. Teheran lo deve sapere subito e il presidente eletto gliel’ha fatto capire immediatamente. Sapeva che ci sarebbe stata una reazione. C’è stata. Ieri ha parlato il presidente del Parlamento Ali Larijani: «Siamo sulla strada sbagliata, si seguono le stesse mosse del passato». Perché Obama non cambia la politica estera americana, e quella politica dice che con Ahmadinejad oggi non si tratta: non ci si siede a un tavolo se lui non ferma il processo nucleare iraniano. Teheran dice che si parte male. Male per chi? Obama non mollerà e l’ha fatto capire tante volte. Una volta, in campagna elettorale, disse che con i Paesi nemici avrebbe voluto parlare: fu una gaffe che non ripeterà più. Non ci saranno rapporti, per ora. Non così. Teheran ieri l’ha solo confermato e considera un punto di partenza sbagliato persino la scelta di Rahm Emanuel come capo dello staff: Obama però l’ha scelto anche per questo, per ribadire che la priorità della sua amministrazione in Medio Oriente sarà la sicurezza di Israele.
Come Bush, appunto. Come Bush che però venerdì sera si dev’essere sentito incalzato dal presidente eletto: Obama ha fatto capire che vorrebbe l’approvazione di un pacchetto di aiuti alle famiglie e alle imprese prima dell’inizio del suo mandato. L’ha ripetuto anche ieri: «Non bisogna perdere tempo».
Bush tergiversa, non vuole: sa che i democratici vogliono un nuovo programma di incentivi economici, ma non l’ha ancora preso in considerazione. Obama gli mette fretta e adesso c’è già chi parla di tensione tra il presidente in carica e il suo successore. Lo fa il quotidiano online Politico. Bush e Obama si vedranno domani: il presidente ha invitato Barack alla Casa Bianca. Sarà un incontro amichevole, ma è ovvio che si parlerà di politica. Barack ufficialmente fa il conciliante. Così anche Bush: «Voglio fare in modo che questa transizione si svolga senza scontri, è una delle mie primissime priorità di questa fine mandato». Come a dire che adesso qualche problema c’è.
Non è l’unico. C’è la questione della squadra. Obama non ha fatto ancora il nome del segretario al Tesoro, ma il suo staff lavora nell’ombra per trovarlo. I nomi sono due. Due, perché il terzo, Paul Volcker (numero uno della Fed), avrebbe gentilmente declinato. Fa parte del team della transizione, ma non dovrebbe avere incarichi di governo. Alla successione di Paulson la gara è tra l’ex rettore di Harvard, Lawrence Summers, e il capo della Fed di New York, Timothy Geithner.
Secondo il Wall Street Journal, lo staff di Obama è diviso. Indeciso se puntare a una certezza come Summers o a una novità come Geithner. Loro si conoscono: in passato hanno lavorato insieme al Tesoro, quando Summers faceva il Segretario. Era l’epoca Clinton. Entrambi hanno problemi: Summers è considerato un grande economista ma anche un gaffeur. Anche su Geithner ci sono delle riserve: ha gestito la crisi finanziaria, ha autorizzato il fallimento di Lehman Brothers per conto dell’amministrazione Bush. Per questo molti dello staff di Obama lo considerano troppo «bushiano». Si tratta, ancora. Si tratterà nei prossimi giorni.
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