Un assegno complessivo da 723 milioni di euro per il fisco italiano. Cifra enorme, ma certamente inferiore ai 3 miliardi che la Guardia di Finanza e la Procura di Milano contestavano ad Amazon tra imposte, interessi e sanzioni. Il colosso americano dell'e-commerce, per limitare i danni, ha deciso quindi di venire a patti per una somma di 511 milioni da sommare ai 212 milioni già concordati nei giorni scorsi da Amazon logistica e Amazon Italia transport. La vicenda nasce dal mancato versamento dell'Iva al 22% da parte di venditori extraeuropei (in larga prevalenza cinesi) che utilizzano la piattaforma fondata da Jeff Bezos per commercializzare i propri prodotti. Gli inquirenti avevano inscritto Amazon nel registro degli indagati per «dichiarazione fraudolenta», poiché non ha fornito all'Agenzia delle Entrate gli estremi per identificare i venditori. Questo, secondo i giudici, rende l'azienda di Seattle responsabile di una dichiarazione fraudolenta. Nei tre anni oggetto dell'indagini, le contestazioni ammontavano a 1,2 miliardi di imposte, lievitati però a 3 miliardi conteggiando sanzioni e interessi. L'impostazione della Procura, però, non è stata condivisa dall'Agenzia delle Entrate, per la quale non era sostenibile la tesi per cui Amazon dovesse fare fronte all'intero buco generato dall'evasione dell'imposta da parte dei venditori. Secondo il Fisco, infatti, si poteva addebitare solo un concorso nell'evasione dell'Iva, per questo ha ritenuto conveniente pattuire con l'azienda americana una cifra ben più bassa rispetto a quella ipotizzata dalla Procura. Quest'ultima ora potrebbe comunque proseguire in sede processuale - tra gli indagati per dichiarazione fraudolenta ci sono tre manager e il vicepresidente global tax Kurt Lamp - al di là dell'accordo avvenuto con l'Agenzia delle Entrate.
Amazon, dal canto suo, ha sottoscritto l'accordo ritenendolo evidentemente conveniente per almeno due ragioni: la prima, a livello squisitamente pecuniario, è sgomberare il campo da una possibile sanzione più elevata; la seconda, ancor più importante, per incassare un forte alleato processuale nel caso in cui i pm milanesi riuscissero a ottenere il rinvio a giudizio. A quel punto, l'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate - che esclude la frode fiscale - potrebbe avere un suo peso.
«Questo accordo riflette il nostro impegno a collaborare in modo costruttivo con le autorità italiane», spiega una nota di Amazon diffusa nella serata di ieri. «Ci difenderemo con determinazione rispetto all'eventuale procedimento penale, che riteniamo infondato. Siamo tra i primi 50 contribuenti in Italia e uno dei maggiori investitori esteri nel Paese. Negli ultimi 15 anni abbiamo investito oltre 25 miliardi di euro in Italia, dove impieghiamo direttamente più di 19mila persone».
Il gruppo dell'e-commerce, tuttavia, non evita di togliersi un sassolino dalla scarpa: «Contesti normativi imprevedibili, sanzioni sproporzionate e procedimenti legali prolungati incidono sull'attrattività dell'Italia come destinazione di investimento».