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L'Ilva resta senza gas

Il Tar della Lombardia ha stabilito che, da oggi, Snam può staccare la fornitura allo stabilimento siderurgico di Taranto

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Da oggi la Snam può interrompere in qualsiasi momento la fornitura di gas allo stabilimento Ilva. Il Tar della Lombardia ha rigettato l’istanza di sospensione presentata da Acciaierie d’Italia, aprendo di fatto la strada al blocco della produzione.

La decisione del tribunale lombardo ribalta quella cautelare che gli stessi giudici avevano preso il 31 ottobre quando avevano obbligato Snam a continuare la fornitura per motivi di sicurezza: il fermo degli impianti dell' Ilva di Taranto, avevano scritto in quella occasione, “è idoneo a produrre un grave pregiudizio per l’ambiente e per la salute dei cittadini”.

Oggi invece, entrando nel merito della vicenda, i magistrati hanno rilevato che a distanza di mesi Adi non ha trovato alcun fornitore alternativo a Snam e hanno quindi spiegato che "la mancata individuazione del fornitore sul libero mercato del gas naturale è di fatto imputabile ad una valutazione di convenienza economica” dell’ Ilva e frutto quindi di libere scelte imprenditoriali”. Secondo i giudici Adi con il ricorso mira a “salvaguardare la propria posizione imprenditoriale, procrastinando l’assunzione di impegni economici che, benché consistenti, sono necessari per reperire, nel rispetto della legge e delle regole del mercato, l’adeguata fornitura di gas naturale indispensabile per lo svolgimento delle proprie attività”.

I giudici amministrativi, inoltre, pur riconoscendo che gli impianti siderurgici dell’ex Ilva costituiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale, sottolineano che “non si può continuare a far gravare sulla fiscalità generale che sostiene la spesa per il servizio di default trasporto, parte dei costi indispensabili per lo svolgimento dell’attività di impresa della ricorrente”.

Appesantita dal rincaro dell'energia e da un calo dei prezzi dei rotoli di acciaio laminato, Adi è rimasta a corto di liquidità e ha accumulato ingenti debiti con i fornitori, in particolare con Eni.

I debiti accumulati nei confronti del fornitore – 109 milioni scaduti il 31 dicembre scorso, cui vanno aggiunti altri 69 milioni per i mesi di novembre e dicembre 2023 - rendono adesso inevitabile lo stop. In realtà, nel corso del 2023, Acciacierie d’Italia ha ricevuto offerte di forniture dalla sola Eni.

Quest’ultima, viene però rilevato dal Tar, nello scorso mese di ottobre ha comunicato l’impossibilità di formulare offerte, “rilevando il mancato rispetto del piano di rientro previsto da un accordo transattivo stipulato fra le parti”.

Conclusione: “ritenuto che non si può continuare a far gravare sulla fiscalità generale che sostiene la spesa per il servizio di default trasporto (come rilevato da Arera) e che Acciaierie d'Italia risulta tutt'ora in mora nel pagamento di un'ingente somma dovuta per la fruizione del servizio di default trasporto chiesto e poi prorogato, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia respinge l'istanza di misure cautelari”.

Con il governo Meloni impegnato in una difficile trattativa di “divorzio” da ArcelorMittal, l’interruzione della fornitura di gas rischia di portare al blocco della produzione, aprendo scenari imprevedibili.

Il Meloni sta cercando un accordo con ArcelorMittal che faciliti l'uscita del gruppo da Adi senza innescare un contenzioso legale. Come soluzione a breve termine, il governo sta valutando la possibilità di mettere Adi in amministrazione straordinaria, nominando uno o più commissari per evitarne la chiusura. Una soluzione di questo tipo potrebbe anche aiutare il governo a guadagnare tempo mentre cerca un nuovo partner industriale per la società.

Acciaierie d’Italia ha gia annunciato che impugnerà al Consiglio di Stato la decisione odierna del Tar lombardo. In tutto questo c’è anche da considerare che ad oggi Ilva, marciando con gli altoforni a carbone, ne recupera gas afo per alimentare le acciaierie. L’utilizzo del gas è minimo e riguarda solo le officine.

Non sarebbe così in caso di spegnimento degli altoforni e sostituzione con forni elettrici, che avrebbero bisogno di una fornitura di gas dieci volte maggiore rispetto a quell'attuale e con costi drasticamente più elevati.

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