Nelle officine illuminate a neon e nelle botteghe che profumano di legno, cuoio o farina, l’impresa italiana è nata così: da persone comuni, spesso con le mani segnate dalla fatica, che hanno unito ingegno, valori semplici e rispetto per chi lavorava al loro fianco. È da questa umanità, prima ancora che dai capitali, che si è costruito un patrimonio fatto di distretti, marchi, filiere e competenze che il mondo intero oggi ammira.
Dietro ogni insegna, spesso corrispondente al cognome di una famiglia, c’è la convinzione che l’azienda sia una comunità e che si cresce soltanto se crescono tutti. È una storia economica e civile che ha plasmato l’identità del Paese e che continua ancora oggi, in silenzio, grazie al sacrificio quotidiano di imprenditori e lavoratori.
Le piccole e medie imprese rappresentano quasi la totalità del tessuto produttivo italiano, danno lavoro a gran parte degli occupati e generano la quota principale del valore aggiunto nazionale. Sono la spina dorsale dell’economia, la prova che l’Italia non si regge su pochi grandi colossi, ma su una moltitudine di realtà familiari radicate nei territori, capaci di innovare senza perdere la propria identità. Nonostante gli anni recenti abbiano portato difficoltà e crisi, il nostro Paese ha continuato a crescere, mostrando una resilienza che appartiene alla sua gente più che ai numeri.
Gli ultimi tempi, tuttavia, hanno messo a dura prova la solidità delle imprese. Il rincaro dei costi energetici, l’aumento delle materie prime, l’inflazione e l’instabilità dei mercati hanno eroso i margini e reso difficile la programmazione e gli investimenti. Le micro e piccole aziende, cuore pulsante delle nostre comunità, hanno dovuto affrontare un aggravio di spese che ha colpito più duramente che altrove, soprattutto rispetto ai competitor europei. Eppure, anche in questa tempesta, hanno continuato a resistere, sostenute da quella miscela di sacrificio, onestà e lavoro che da sempre è la loro cifra distintiva.
La forza delle imprese italiane è così grande che i marchi nati nei nostri distretti sono oggi tra i più desiderati al mondo. Moda, lusso, agroalimentare, meccanica: ovunque ci sia un’eccellenza, c’è una storia italiana dietro. È anche per questo che, negli ultimi anni, tante aziende storiche sono finite nel mirino di fondi e multinazionali estere, attratte dalla solidità e dalla creatività del Made in Italy. Ma se da una parte questo è motivo d’orgoglio, dall’altra c’è il rischio concreto che, insieme ai marchi, vengano trasferite anche competenze, filiere e decisioni strategiche lontano dai territori che le hanno generate.
Non si tratta di chiudersi al mondo, ma di garantire che il frutto del lavoro resti in Italia, che le decisioni continuino a nascere qui, che i giovani possano imparare dai maestri e raccoglierne l’eredità. Difendere l’impresa italiana non significa proteggere solo un marchio, ma difendere identità, cultura e futuro. Le imprese di famiglia, che ancora oggi rappresentano gran parte del nostro tessuto produttivo, lo dimostrano con la loro resilienza: radici profonde, legame con i dipendenti, senso di responsabilità verso le comunità.
L’Italia è un Paese in cui la bellezza si traduce in prodotto, la creatività in brevetto, la mano esperta in qualità. Lo sanno i mercati, lo sanno i consumatori, lo sanno i fondi che cercano di acquistare i nostri brand. Ma una nazione vive soprattutto del valore che resta, non solo di quello che crea: salari dignitosi, competenze trasmesse, comunità che crescono attorno a botteghe e stabilimenti. Se svendiamo le nostre maestranze, perdiamo molto più di un marchio: perdiamo il nostro futuro.
Per questo difendere l’impresa italiana significa custodire un’economia che non è fatta soltanto di bilanci, ma di persone. Sono loro, imprenditori e lavoratori insieme, che ogni giorno, senza clamore, tengono in piedi l’Italia.