Il monito di Jamie Dimon "Temo brutte sorprese sul taglio dei tassi Usa"

Il ceo di Jp Morgan scrive agli azionisti: "Possibile una fiammata. Green e spese militari spingono l’inflazione"

Jamie Dimon
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Dopo aver spento il panico mettendo la semi-fallita First Republic sotto l’ala protettrice di JP Morgan, Jamie Dimon sembra aver tutta l’aria di voler passare da pompiere a piromane. Non che nei mesi passati il numero uno della più grande banca al mondo (controvalore degli asset, 4mila miliardi di dollari) ci abbia sempre preso: per esempio, nel novembre scorso ha clamorosamente ciccato la previsione sull’America condannata alla recessione. Ma se Jaime parla, Wall Street ascolta. E, ancor di più, gli azionisti. Soci che si sono visti recapitare dal loro presidente-ceo una letterina da prendere con uno Xanax, poiché già la premessa può indurre ansia: «L’enorme spesa fiscale, i miliardi di dollari necessari ogni anno per l’economia verde, la rimilitarizzazione del mondo e la ristrutturazione del commercio globale sono tutti fattori inflazionistici», è l’avvertimento del banchiere.
Se il punto focale è il potenziale surriscaldamento dei prezzi, giocoforza torna in ballo la Federal Reserve proprio nel momento in cui si è riacceso il dibattito, complice l’interruzione del processo disinflazionistico e la robustezza del mercato del lavoro, su come si comporterà nei prossimi mesi Eccles Building. Dopo aver a lungo dato per scontato tre tagli ai tassi quest’anno, il mercato sta cambiando mood: ora la probabilità di una “sforbiciatina” da un quarto di punto è inferiore al 50% sia per giugno che per luglio, secondo lo strumento FedWatch del CME. E queste percentuali potrebbero presto rivelarsi ottimistiche. Goldman Sachs ha infatti già messo tutti sull’avviso: «I tagli rimangono facoltativi e non necessari per la Fed in questo momento». Un cambio di scenario inimmaginabile solo fino a qualche settimana fa che rischia di avere implicazioni anche sulla Bce, ritardando il possibile allentamento in giugno della politica monetaria.
Della stessa idea dev’essere Dimon, visto che a JP Morgan è stato impartito l’ordine di prepararsi anche al peggio. «Se i tassi a lungo termine salissero oltre il 6% e questo aumento fosse accompagnato da una recessione, ci sarebbe molto stress, non solo nel sistema bancario - ha spiegato agli azionisti - .

Siamo preparati per una forchetta molto ampia sui tassi d’interesse, dal 2% all’8% o persino di più, con una forchetta altrettanto ampia sull’economia, da una forte crescita con un’inflazione moderata a una recessione con l’inflazione o una stagflazione». Parole che consigliano l’assunzione di un altro Xanax: quando lo spettro delle ipotesi è così ampio, vuol dire che anche il banchiere più potente al mondo non sa più che pesci pigliare.

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